La ricerca di prodotti e di materiali attenti all'ambiente e ai diritti dei lavoratori, la valorizzazione e il recupero di tradizioni autoctone artigianali, l'interesse verso tipologie variegate di savoir-faire hanno imposto, anche nel campo della moda, interessi e stili di comportamento riconducibili ai principi della sostenibilità e della responsabilità. In questo contesto, un’attenzione verso la dimensione più squisitamente umana porta a volgere lo sguardo verso contesti marginalizzati come quello delle carceri. In tali esperienze, il lavoro creativo sembra esplicarsi non solo come ricerca estetica e progettuale ma anche come forma d'inclusione e di riscatto umano e culturale. Si tratta di realtà imprenditoriali spesso alle prese con problemi di sostenibilità economica e in difficile equilibrio in un mercato molto competitivo, ma anche depositarie di singolari istanze sociali combinate con interessanti innovazioni di prodotto. 

Una ricerca iniziata nel 2004, finanziata dal Ministero della ricerca e dell’Università (Progetto PRIN 2004[1]), ha esplorato l’esistenza di nuove forme di responsabilità nel settore del tessile – abbigliamento, in cui la solidarietà assume forme diversificate che vanno dal destinare a progetti sociali parte dei profitti a joint-venture fra cooperative del Sud e stilisti del Nord del mondo; da produzioni frutto del lavoro e della creatività di persone socialmente svantaggiate a capi fatti con materiali organici. Attraverso una serie di studi di casi e interviste a lavoratrici ristrette e ai responsabili delle cooperative, per la prima volta è stato analizzato, in prospettiva socioculturale, un brand carcerario – I Gatti Galeotti - frutto del lavoro congiunto di due cooperative attive nel carcere di San Vittore a Milano: Alice e Ecolab. La ricerca è poi confluita nella pubblicazione del testo “La moda della responsabilità”[2] . 

Nel 2008, grazie a un finanziamento del centro ModaCult, questo filone è poi proseguito studiando un campione più ampio di cooperative sociale carcerarie attive nel settore del tessile-abbigliamento. Con una serie di metodi qualitativi sono stati analizzate la cooperativa sociale Officina creativa, attiva nelle carceri di Lecce e di Trani e creatrice del marchio Made in carcere” e l’evoluzione della cooperativa milanese Alice, che nel frattempo, oltre ad aver aperto nuovi laboratori in altri istituti penitenziari limitrofi (Bollate e Opera), ha dato vita anche a un ulteriore marchio - Sartoria San Vittore. Gli esiti della ricerca sono stati pubblicati nel 2010 nel testo “Creative evasioni”[3] e presentati in alcuni convegni nazionali e internazionali.

 Il connubio moda carcere è stato, nel 2020/22, nuovamente al centro di un’ulteriore indagine nel progetto Benessere interno lordo (B.I.L) in ambito carcerario: Nuovi modelli di Economia Rigenerativa finanziato dalla Fondazione Con Il Sud. Il progetto si è sviluppato nelle carceri dove è presente la cooperativa Officina creativa (Lecce, Trani, Taranto) con l’obiettivo di elaborare degli indicatori quantitativi per misurare il valore sociale prodotto da modalità di lavoro artigianale e creativo in contesti difficili. Con valore sociale si fa riferimento alla somma del benessere procurato all’ambiente (tramite il riutilizzo di materiali scartati) e alle ristrette grazie a un percorso di crescita umana e professionale, innescato dal reinserimento lavorativo.

I risultati della prima parte del progetto sono stati pubblicati nel 2021 nell’articolo Dal Pil al Bil: un’altra condizione è possibile? Il modello Made in Carcere[4]. Gli esiti finali sono in via di pubblicazione e sono stati presentati a Roma il 3/05/2023[5]

 

[1] PRIN 2004 (progetto locale, Modello B): Agire di mercato e culture della responsabilità. Comportamenti emergenti di consumo critico nel tessile-abbigliamento.

[2] Lunghi C. e Montagnini E., 2007, La moda della responsabilità, FrancoAngeli, Milano. 

[3] Lunghi C., 2010, Creative evasioni. Manifatture di moda in carcere, FrancoAngeli, Milano.

[4] Ferrara M. e Lunghi C., 2021, Dal Pil al Bil: un’altra condizione è possibile? Il modello Made in Carcere, «Giornale di storia», n. 38 (https://www.giornaledistoria.net/saggi/articoli/dal-pil-al-bil-unaltra-condizione-e-possibile-il-modello-di-made-in-carcere/)

[5] Lunghi C. e Rovati G. alla conferenza “Un’altra condizione è possibile? Risultati dello studio di fattibilità e analisi degli indicatori del BIL – Benessere Interno Lordo”, 3 maggio 2023, Sala delle conferenze, Fondazione Con Il Sud