Università Cattolica del Sacro Cuore

Cenni Storici

Chi era Mario Apollonio?

Era un grande maestro, che insegnò Letteratura italiana in Università Cattolica dal 1942 al 1971. Ma la sua grande passione fu il teatro, al cui studio e alla cui promozione nelle più prestigiose istituzioni dedicò le sue infaticabili energie , la sua vastissima cultura, la sua acuta e geniale intelligenza, la sua prodigiosa memoria e curiosità.
L'armonia di doti che spesso si escludono lo portava naturalmente alla rifondazione della drammaturgia: il realismo e l'utopia, la comunicativa e la meditazione solitaria sui testi, lo slancio di intuizione e il rigore strenuo e costante dello studio, la fermezza, il piglio non condiscendente e l'amabilità signorile, sempre, la dolcezza e la veemenza, la versatilità, la forza della sintesi e la puntigliosità dell'erudizione, la propensione a cogliere le relazioni in un naturale genio di comparatista, la vena copiosa della scrittura e il dono della parola parlata in quello che lo scrittore Luigi Santucci, uno dei suoi molti affermati allievi, ricordò come «massimo di comunicativa e pur trasognato distacco».

Passione dell'intelligenza storica, responsabilità etica e civile, raffinato gusto estetico, profondo senso religioso, convinzione e coraggio ispirarono il suo lavoro scientifico e le istituzioni che fondò o che contribuì a fondare, come il Piccolo Teatro della Città di Milano, di cui firmò (con Paolo Grassi, Giorgio Strehler, Virglio Tosi) e di fatto stese in gran parte il manifesto.
La drammaturgia nell'Università, la scuola-bottega, il teatro del coro, la televisione d'autore, il laboratorio di cultura: erano alcune delle sue formule che ispirarono le opere che scrisse e che mise in piedi: la Scuola superiore delle comunicazioni sociali, poi diventata Scuola di specializzazione in Comunicazioni sociali e oggi Alta scuola in media comunicazione e spettacolo, la rivista «Drammaturgia», le prove d'autore. E soprattutto la prima cattedra di Storia del teatro nelle Università italiane, nei lontani anni cinquanta, quando era preside della Facoltà di Lettere un altro grande lungimirante umanista: Ezio Franceschini.

Emerge, dietro la varietà di interessi, la convergenza verso una prospettiva focale: il teatro. Non la routine, il mestiere o il commercio del teatro, lo svago digestivo marginale o corrivo, ma l' esperienza del senso, centrale nella comunità, parola alta e partecipata, radicata nel corpo dell'attore e nel corpo del coro, parola responsabile in cui una comunità si specchia, medita i suoi simboli fondanti, cementa la sua coesione, si progetta.
Il teatro diceva con toni vibranti Apollonio nelle aule universitarie, in cui alcuni dei promotori del CIT a lui dedicato lo sentirono, è «poesia vivente, ricomposizione di ciò che è separato, luogo di convergenza e di elezione della parola comunitaria, luogo in cui, tra il venire a parola e l'incarnarsi di un vissuto forte, in presenza di un gruppo, possa realizzarsi lo scambio simbolico fondativo insieme della coralità e del senso».
In una fase di fervida ricerca della scena teatrale occidentale, Apollonio sosteneva la relazione fra i poli equipollenti del «ternario drammaturgico»: l'autore, l'attore, il coro. Non avrebbe amato la via di certi sbilanciamenti verso uno o l'altro aspetto che poi alcuni estremismi batterono.

Consigliamo agli amici del nostro Centro di accostarsi alle opere di Mario Apollonio. E' una lettura non facile, ma fra le più stimolanti, capaci di aprire la testa a chi si occupa di questa plurimillenaria forma dell'espressione artistica dell'uomo.
Prima fra tutte la Storia del teatro italiano, nella nuova edizione integrata, con prefazione di Sisto Dalla Palma e appendici di Fabrizio Fiaschini, pubblicata dalla Biblioteca Universale Rizzoli nel 2003.

 

 

Mario Apollonio: la parola viva e responsabile

Un ricordo di Annamaria Cascetta.

Quando, nei primi anni sessanta, dalla cattedra di una delle aule dell’austero liceo Parini di Milano, si levavano, attraverso la voce di Lina, le volute delle parole di Mario Apollonio, il suo mitico marito, scritte nella Storia della letteratura, in adozione per i nostri studi di giovani allievi, quegli spazi perdevano per me la sensazione di angustia, che talvolta comunicavano.
Pur nel loro frequente ermetismo, per noi inesperti studenti, quelle parole ci seducevano, attraverso le associazioni spesso ardite di una cultura vasta, profonda, liberamente rivisitata, le allusioni, le citazioni innervate e fuse nel discorso senza ostentazione, perfettamente metabolizzate da una coscienza sempre tesa, la capacità di evocare, con scioltezza, eleganza, incisività, ambienti e epoche, la genialità delle intuizioni fulminee nell’interpretare fenomeni complessi.
Chi era e com’era quell’uomo che vedevamo talvolta accompagnare o attendere la moglie, la nostra professoressa Lina Ferro, davanti al portone della scuola e di cui coglievamo, noi che a quell’età pensavamo sì agli studi, ma anche a quello che sarebbe stata la nostra vita affettiva, l’intenso legame , l’amore che resisteva e si intensificava negli anni, il rispetto, la bellezza che li aveva attratti certo l’uno verso l’altra e durava: la bella, grande signora grigia, il bell’uomo minuto e vivacissimo, dagli occhi glauchi e il grande charme.
Era, ci dicevano, un luminare dell’Università Cattolica di Milano, dove insegnava la Letteratura italiana e, da pochi anni, la Storia del teatro e dello spettacolo, una disciplina che pionieristicamente istituì e cui conferì fra i primi alta dignità accademica.
Accadde a qualcuno, come me, di decidere allora di mettersi sulla sua scia, abbandonando l’idea di altri studi (nel mio caso le scienze mediche).
Nelle aule universitarie e nei rari, ma per me magici momenti in cui, visitando Lina, lo incontravo nella sua villa di Galliate e godevo , gustando un sorbetto nel giardino, della sua amabile conversazione, che spaziava dal presente al Rinascimento, da Milano a Oslo…aprendo come sempre straordinari orizzonti, capii chi era quell’uomo.
In lui si armonizzavano doti che spesso si escludono: il realismo e l’utopia, l’osservazione del quotidiano e le domande radicali, la comunicativa e la predilezione per una solitudine schiva, la genialità dell’intuizione e il rigore strenuo e costante dello studio, la fermezza, talvolta l’impuntatura e l’amabilità, la dolcezza e la veemenza, la prodigiosa memoria, la versatilità, la capacità della sintesi e l’analiticità dell’erudizione, la scrittura e la parola viva, parlata. Luigi Santucci, che fu fra i suoi prediletti allievi, avrebbe parlato di “massimo di comunicativa e pur trasognato distacco”.
Negli studi, nell’insegnamento, negli impegni istituzionali, nella prassi culturale dentro la città Apollonio portava la passione per l’intelligenza storica, la responsabilità etica e civile, il raffinato gusto estetico, la finezza di analisi, il profondo senso religioso.
In costante equilibrio fra due polarità opposte, la sua instancabile attività, troppo presto interrotta dalla morte (nato nel 1901, Apollonio morì improvvisamente nel 1971) si mosse fra letteratura e drammaturgia, fra teoria e prassi, fra storiografia e prove d’autore drammaturgo e narratore, fra scuola e bottega, fra studi e responsabilità in pubbliche istituzioni.
Una duplice vocazione, in perfetta osmosi e reciproca fecondazione, lo portava da una parte verso la letteratura, la scrittura solitaria, fatta per durare nel tempo e consegnarsi all’incontro solitario, e la drammaturgia, una forma di espressione e di comunicazione che coinvolge la totalità della persona, si gioca nella presenza piena e concreta, ma si brucia nell’incontro e nell’evento.
La drammaturgia non è uno fra gli oggetti di studio di Apollonio, ma la prospettiva focale della sua attività. Quale drammaturgia? Non è la routine o il mestiere talvolta corrivo del teatro, non è la merce, o lo svago digestivo, marginale nella città, nel suo spazio o nel suo tempo, ma è la sua frontiera utopica, è la possibilità e specificità più radicale del teatro, la sua “differenza” che, nel nuovo orizzonte comunicativo mediale, che Apollonio intuì e immaginò profeticamente, si andava precisando e che teorici e artisti di varie parti del mondo avrebbero tra la fine degli anni settanta e gli anni ottanta ampiamente espresso. Paradigma lontano è l’esperienza greca ed è l’esperienza liturgica, non irrigidita nella cristallizzazione ripetitiva, ma animata dall’incontro dialettico dell’officiante-poeta e del gruppo-coro.
In questa prospettiva, drammaturgia è esperienza centrale della comunità, in rapporto alla vita storica e alla vita dello spirito.
E’ “parola individuata”, come diceva Apollonio, frutto della creatività dell’artista che si incarna nella persona fisica dell’attore e abita e si “invera”nel gruppo-coro. E’ poesia vivente, segno complesso di simbolica densità, ricomposizione di ciò che è separato, “luogo di convergenza e di elezione della parola comunitaria, luogo in cui tra il venire a parola e l’incarnarsi di un vissuto forte, in presenza di un gruppo, possa realizzarsi lo scambio simbolico fondativo insieme della coralità e del senso”. E’ la relazione fra i poli di quella che è la definizione centrale della teoria apolloniana sulla drammaturgia: il “ternario drammaturgico”: l’autore, l’attore, il coro.
Quella del coro fu la passione più radicale di Mario Apollonio, nodo della sua lezione.
Sul coro, sul pubblico partecipe, coinvolto e responsabile si sarebbero concentrate le speculazioni e le sperimentazioni più originali e più significative del secondo e ultimo Novecento. Grandi maestri della scena, come si sa, avrebbero realizzato opere indimenticabili sotto questo profilo, pensiamo solo a Grotowski, Brook, Mnouchkine, Ronconi…
Si tratta dell’idea di un pubblico responsabile e consapevole, comunità, non massa, teso e per così dire snidato, in una relazione che non è solipsismo, né manipolazione, né tumulto, matrice e luogo di ritorno della parola individuata del poeta.
Questa istanza del coro guida anzitutto tutta la rilettura apolloniana della storia della letteratura drammatica, delle forme sceniche, e delle forme attorali. Apollonio la rintraccia e la documenta al centro della vita storica e sociale, nel costume dei popoli scrivendo la sua Storia del teatro italiano e in essa cala la reinterpretazione dei grandi autori: Ibsen, Shakespeare, Goldoni, Molière, Alfieri, Metastasio.
Questa istanza guida le tante incursioni di Apollonio fuori dal campo degli studi, negli innovativi esperimenti drammatici realizzati, per esempio a Parma, nella redazione della rivista “drammaturgia”, nell’impegno di cofondatore e di estensore del manifesto del Piccolo Teatro nel 1947, nelle prove d’autore (ventisei testi pubblicati e dodici paraliturgie o affreschi cristiani perlopiù inedite), nella progettazione accademica che lo vede ideare una Scuola delle comunicazioni, che prefigura quello che i nostri tempi riformatori vedono ormai come prassi acquisita. Duplice, coerente impegno.
Per gli assetti istituzionali consolidati, le posizioni apolloniane, così anticipatrici e indipendenti, sono spesso scandalose, certo scomode. I retaggi idealistici crociani della parola poetica pura, le metodologie accanitamente filologiche, le idee della scena che si avviavano al primato della regia, con un taglio dirigistico che rischiava di mortificare la democrazia del ternario procurarono a Apollonio non poche amarezze e incomprensioni.
Egli continuò, così, appartato, con la stessa passione, con la stessa energia, con lo stesso aristocratico fascino. Non era uomo di lobby, di compromessi, di maneggi. Ma era uomo di idee e di stile.
Un disegno e un’utopia che resta forse, come l’ha chiamata Claudio Meldolesi, un’ altra bella persona di questa area di studi, da poco scomparsa, accomunando Apollonio ad altri grandi maestri della drammaturgia degli anni venti, quella di un “critico sognatore”.
Ma dei sogni si nutre il progetto della realtà.

Milano, 3 dicembre 2010

Per un approfondimento sulla molteplice attività di Mario Apollonio rinvio a:
Mario Apollonio, La parola responsabile, numero monografico di “Comunicazioni sociali”, a cura di Annamaria Cascetta, 3-4, a.VIII, luglio-dicembre 1986.
Istituzione letteraria e drammaturgia, Atti del convegno Mario Apollonio:i giorni e le opere, a cura di Carlo Annoni, Vita e Pensiero, Milano 2003.
Ricerche dall’Archivio storico del Piccolo Teatro (1947-1963), a cura di Stefano Locatelli, “Comunicazioni sociali”, a.XXX, n.2, maggio-agosto 2008.