Università Cattolica del Sacro Cuore

Cambria Florinda, Far danzare l’anatomia. Itinerari del corpo simbolico in Antonin Artaud.

 

Florinda Cambria, Far danzare l’anatomia. Itinerari del corpo simbolico in Antonin
Artaud, Pisa, ETS, 2007.

Tra le figure più enigmatiche e difficilmente “catalogabili” del secolo appena trascorso
spicca quella di Antonin Artaud (1896-1948). Pensatore e poeta, scrittore e uomo
di teatro, anima inquieta e inafferrabile, Artaud ha speso se stesso in un lavoro di scrittura
copioso e raffinato, ma estraneo ad alcuna formula definitoria. Genio troppo spesso
giustificato e risolto con la sua presunta malattia psichica, è stato frequentemente frainteso
e variabilmente strumentalizzato. Eppure, tralasciando la curiosità quasi maniacale
di quanti hanno computato le date delle sue entrate e uscite dalle cliniche e profuso bollettini
medici a nota dei suoi scritti, non si può sfuggire alla profonda influenza che Artaud
ha esercitato sul teatro novecentesco. Basti pensare all’ispirazione che il Living
Theatre ha tratto dai suoi scritti sul respiro oppure al saggio Non era completamente se
stesso (1967) in cui Grotowski, pur scrivendo che le tesi visionarie di Artaud non erano
teatralmente praticabili, riconobbe al pensatore di aver colto l’essenza dell’arte
dell’attore: il suo atto totale.
In Far danzare l’anatomia, Florinda Cambria continua il suo viaggio di esplorazione
e confronto col pensiero artaudiano e in particolare con la domanda fondamentale ad esso
sottesa: a quale fare originario rinvia la rappresentazione drammatica? Dopo Corpi
all’opera. Teatro e scrittura in Antonin Artaud (2001), in cui la studiosa ha indagato i
diversi aspetti della nozione di «teatro della crudeltà» e il suo passaggio dalla teoria alla
pratica attraverso il proliferante e incompiuto lavoro di scrittura di Artaud, la Cambria si
cimenta ora con i suoi ultimi scritti per approfondire il concetto-chiave di «corpo» e in
particolare di «corpo senza organi» che pur comparendo una sola volta nel testo Pour en
finir avec le jugement de dieu (1947) ne rappresenta una delle espressioni più efficaci e
ancora in parte oscure.
Come dimostra la studiosa con un accurato lavoro di raffronto e richiamo analogico
tra diversi passi, Artaud riprende e acuisce negli ultimi anni di vita alcuni pensieri degli
anni Venti e Trenta dando vita a una personalissima elaborazione di ordine non solo teatrologico
bensì di più ampio ed esplicito confronto con la metafisica occidentale. Questa
sua produzione tarda, a lungo misconosciuta e ascritta all’interno dei confini della pura
letteratura, è stata oggetto di uno studio via via più specialistico attraverso l’edizione
completa delle sue opere a cura di Paule Thévenin. La Cambria si confronta in special
modo con le letture che del pensiero artaudiano hanno dato Gilles Deleuze e Jacques
Derrida poiché questi due celebri pensatori se, da un lato, hanno avuto il merito di riconoscere
e diffondere il valore filosofico delle opere di Artaud, dall’altro, hanno rischiato
secondo la studiosa di ingabbiarlo all’interno delle proprie personali linee interpretative.
A partire dall’Anti Oedipe (1972) fino a Mille plateaux (1980), Deleuze e Felix Guattari
hanno ad esempio portato avanti e approfondito una lettura di matrice spinoziana
che secondo la Cambria tradisce il pensiero della simbolicità in azione di Artaud. I due
coautori hanno spiegato il «corpo senza organi» nei termini di un’istanza di desiderio
mai riconducibile a una configurazione desiderante, una pura intensità mai colmata che
sebbene comprenda al proprio interno la molteplicità rappresenta per la studiosa una
semplice variante (immobile) della potenza aristotelica e in ultima analisi l’affermazione
di un’unità originaria non rintracciabile in Artaud.
Più vicina alla lezione artaudiana, secondo la filosofa, è l’interpretazione di Derrida,
in particolare quella data nel saggio Forcener le subjectile (1986). Lo studioso ha dimostrato
come la rappresentazione non sia per Antonin Artaud il duplicato di un originale,
ma sia essa stessa una struttura originaria caratterizzata da una doppia operazione; sua
condizione di possibilità è un supporto che si configura nei termini della chora platonica,
ricettacolo di tutti i corpi e al tempo stesso loro forza produttrice. L’obiezione mossa
dalla Cambria nei confronti di Derrida è però quella di non aver portato a fondo
l’intuizione di questa dinamica e di aver in definitiva forzato il supporto (il soggettile artaudiano)
in direzione ancora di uno solo dei due poli, ovvero di un semplice tempo di
incubazione, di un’attesa mai colmata e colmabile.
Attraverso un’argomentazione che si avvale frequentemente ed esplicitamente degli
studi semiologici di Carlo Sini, la Cambria tenta al contrario di dimostrare come la vera
natura del supporto sia quella del simbolo – ovvero del doppio – e ancora più approfonditamente
una kinesis circolare costitutiva tra poli opposti che rende ragione
dell’espressione artaudiana «tutto è motilità». L’opera di Artaud vuole infrangere i sistemi
delle differenze funzionali e delle forme precostituite non per eliminarle del tutto
ma per ricondurle al loro taglio originario, per farle – come suggerisce il titolo del libro
– danzare: trasformare incessantemente. Caos e ordine non sono per Artaud successivi,
ma cooriginari in un movimento reciproco e continuo: da una parte, ogni corpo è tale
perché è sempre individuato e transita attraverso possibilità mai colmate solo perché
questa possibilità rimane aperta e continuamente rivarcabile per il fatto di essere già
sempre esperita come individuata e varcata; dall’altra, se questa variabilità non fosse
sempre già possibile e disponibile non potrebbe mai essere colmata e ricolmata dai reiterati
transiti e individuazioni.
Ciò che allora perdura nel dramma essenziale è il permanere della variabilità, di una
coappartenza di intensione ed estensione, identità e individuazione, disgregazione e
congregazione: una polarità insopprimibile a cui Artaud riconduce ogni distinzione non
per fossilizzarla ma per richiamarne – eticamente e politicamente – la necessità mobile
del rapporto.

Laura Aimo

Autore: Florinda Cambria

Anno: 2007