Inquinamento ambientale e salute preconcezionale
Diverse evidenze sperimentali, cliniche ed epidemiologiche attribuiscono un ruolo importante ai fattori ambientali di natura chimica, fisica o biologica e agli stili di vita non salutari nell’influenzare la fertilità femminile e maschile e lo sviluppo fetale. L’esposizione costante e prolungata nel tempo, anche al di sotto della dose tossica riconosciuta, durante le fasi critiche dello sviluppo dell’organismo (vita intrauterina, infanzia, adolescenza) può provocare interferenze sul sistema endocrino e riproduttivo che possono essere causa di infertilità, patologie andrologiche e ginecologiche, tumori e malformazioni del sistema riproduttivo.
Tra le sostanze imputate vi sono: pesticidi e plasticizzanti (ftalati, bisfenolo). Altri contaminanti ambientali riconosciuti sono sostanze chimiche come antiparassitari, additivi e preservanti di prodotti industriali e di consumo, alcuni metalli pesanti (piombo), sostanze chimiche di origine naturale come i polifenoli (alcuni noti come fitoestrogeni) e farmaci ad azione ormone-simile. Tutte queste sostanze chimiche possono essere disperse nell’ambiente o mediante l’inquinamento atmosferico (es. le diossine per combustione negli inceneritori) oppure nelle acque e nei suoli. Possono essere presenti anche negli alimenti e nelle acque potabili o contenute in oggetti di uso comune (plastiche e scatole metalliche utilizzate per la conservazione degli alimenti), nei cosmetici e nei prodotti per l’igiene e la cura personale (solventi, acetone) e in altri prodotti di uso domestico. Anche le abitudini voluttuarie come il consumo di alcool o fumo o l’abuso di sostanze farmacologiche (ad esempio, integratori alimentari) o dopanti possono condizionare la fertilità. Ed ancora l’abitudine degli uomini ad indossare indumenti molto attillati, che aumentano la temperatura a livello testicolare, potrebbe non favorire le condizioni adeguate al concepimento. Una recente stima ha calcolato che, in assenza di azioni per la riduzione del rischio, l’esposizione ad interferenti endocrini contribuisce per almeno il 20% sull’incidenza di patologie dell’apparato riproduttivo quali endometriosi, infertilità maschile e criptorchidismo, la cui cura comporta seri costi sociali ed economici.
Tra le persone maggiormente predisposte a questo tipo di problematiche vi sono: i lavoratori delle aziende produttrici di prodotti fitosanitari e gli agricoltori a causa dell’esposizione a pesticidi, fertilizzanti e metalli pesanti presenti nelle formulazioni fitosanitarie; i lavoratori nel settore edile per l’esposizione a polveri, prodotti additivi, vernici; i lavoratori di attività tipografiche per le emissioni di polveri, composti organici volatili, ozono, prodotti da stampanti laser e fotocopiatrici; il personale militare per il trasporto, l’immagazzinamento, la conservazione e l’esposizione a sostanze tossiche e/o radiazioni ionizzanti; i lavoratori nell’industria chimica, petrolchimica e mineraria per l’esposizione potenziale alle molteplici classi chimiche sopra citate. Tra le categorie a rischio di ipofertilità o infertilità vi sono anche i piloti, gli steward e hostess poiché l’altitudine e le differenze di pressione possono influenzare l’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi- organi endocrini (ovaio, testicolo, tiroide, surrene), e gli operatori sanitari che possono essere a contatto con sostanze chimiche come ad esempio i gas anestetici.
L’Unione Europea considera particolarmente importante individuare gli interferenti endocrini esistenti sul mercato europeo (articolo 57 del Regolamento REACH - Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals del 2006) e controllare la possibile contaminazione dell’ambiente e degli alimenti. È indispensabile e di fondamentale importanza, quindi, rispettare e far rispettare adeguate condizioni di salubrità negli ambienti privati come in quelli lavorativi, consigliando di effettuare visite andrologiche e ginecologiche periodiche allo scopo di monitorare l’effetto di tali sostanze sullo stato di salute riproduttiva.
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