La preservazione della fertilità nella paziente oncologica
Negli ultimi anni sono stati fatti grandi passi avanti per quanto concerne la cura delle malattie oncologiche, grazie soprattutto al miglioramento della diagnosi precoce e dei trattamenti.
E’ stato, inoltre, evidenziato un aumento del numero di casi delle pazienti oncologiche in età riproduttiva. Infatti, il 4% delle donne ha meno di 40 anni al momento della diagnosi di tumore e circa il 21% dei tumori ginecologici diagnosticati ogni anno rientra proprio in questa fascia di età. Di fronte a questi dati, appare chiaro come l'oncologo non possa più limitarsi ad occuparsi della sola sopravvivenza della paziente, ma debba farsi carico anche della sua qualità di vita con uno sguardo attento - nelle pazienti più giovani - alla possibilità di avere dei figli.
È emerso ormai, da tutte le raccomandazioni internazionali e nazionali, l'importanza di discutere con le pazienti in età fertile il rischio di infertilità e di indirizzarle ad uno specialista per valutare la possibilità di preservare la fertilità.
Durante il primo consulto, devono essere illustrati - alla paziente - tutti i disagi che il tumore può effettivamente causare, focalizzandosi in particolare su quelli che potrebbero compromettere la fertilità. Un’analisi attenta del caso si farà solo partendo dal tipo di tumore, dal suo stadio, dai trattamenti raccomandati in precedenza dall’oncologo e dalla prognosi.
Infatti, proprio in merito ai trattamenti oncologici, molti di questi - quali la radioterapia e la chemioterapia - sono essi stessi, seppur necessari per il trattamento della malattia, una causa di infertilità nelle pazienti oncologiche. Essi hanno un effetto gonadotossico, che può essere più o meno dannoso. Nelle pazienti si riscontrano spesso arresto precoce e/o accelerato della funzionalità ovarica, progressiva riduzione del numero dei follicoli ovarici e conseguente deficit degli ormoni sessuali, amenorrea/oligomenorrea e ipoestrogenismo. La fertilità può essere compromessa da qualsiasi trattamento che interferisca con il funzionamento delle ovaie, delle tube, dell’utero o della cervice.
A seguito di una prima valutazione, vengono elencate possibili soluzioni e metodi di preservazione consigliabili a seconda della condizione clinica della paziente. Tra questi uno dei primi trattamenti da prendere in considerazione, laddove per la paziente si preveda un’esposizione prolungata a radiazioni della regione addominopelvica, è la trasposizione ovarica ovvero un intervento chirurgico che prevede la delocalizzazione delle ovaie in una regione generalmente più laterale e superiore, così da preservarle dall’esposizione diretta alle radiazioni. Insieme alla pratica chirurgica, si è dimostrato efficace anche l’utilizzo degli analoghi del GNRH per la protezione della funzionalità ovarica durante la chemioterapia. A tali trattamenti si unisce la possibilità di eseguire una crioconservazione degli ovociti o del tessuto ovarico o degli embrioni (quest’ultima è vietata in Italia). Si tratta di tecniche che risultano essere efficaci per la preservazione della fertilità nella paziente oncologica
L’unica tecnica di preservazione della fertilità che consente in futuro di avere una gravidanza spontanea è la crioconservazione del tessuto ovarico. Tale metodica consiste nel prelevare la corticale ovarica (la parte esterna dell’ovaio) mediante un intervento eseguito in laparoscopia, comportando quindi un minor grado di disagio post-operatorio per la paziente. Al momento opportuno, il tessuto ovarico prelevato verrà reimpiantato nella paziente garantendo, nella maggior parte dei casi, un buon livello di fertilità per almeno i 2 anni successivi al trattamento.
Introdurre questo tema al momento della diagnosi permette alla paziente di avere tempo per riflettere, raccogliere informazioni e decidere cosa fare.
È nata, così, una nuova di disciplina che unisce l’oncologia e la medicina della riproduzione: l’oncofertilità, in cui uno specialista ginecologo oncologo, uno psicologo, un biologo ed un esperto di riproduzione umana discutono insieme per poter offrire alla paziente il miglior trattamento di preservazione della fertilità.
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