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L’Ecuador alle urne. Una riedizione del risultato del 2021?

L’Ecuador alle urne. Una riedizione del risultato del 2021?

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di Samuele Mazzolini

 

Le elezioni anticipate celebrate in Ecuador il 20 agosto hanno sancito che ci sarà bisogno di un ulteriore passaggio elettorale per stabilire se il paese avrà la sua prima presidente donna – Luisa González, erede prescelta dell’ex presidente Rafael Correa – o il presidente più giovane della sua storia – Daniel Noba, figlio del magnate delle banane Álvaro, che in passato provò senza successo ad arrivare a Palacio de Carondelet per ben cinque volte. Questo il primo responso dei comizi marcati dallo sconvolgente fatto di cronaca che ha fatto il giro del mondo: l’assassinio del candidato alla presidenza Fernando Villavicenio a 11 giorni dal voto. Non si è trattata di un’eccezione, bensì dell’apice di una spirale delittuosa che ha messo a ferro e fuoco il paese andino negli ultimi anni. Una violenza, quella dei narcos, che non risparmia più nemmeno la classe politica: pochi giorni dopo Villavincencio, la stessa sorte è toccata al leader politico locale Pedro Briones, mentre a fine luglio erano stati freddati Agustín Intriago, sindaco di Manta, settima città del paese, e Rider Sánchez, candidato al parlamento. Nei mesi scorsi oltre una dozzina di attentati sofferti da diversi dirigenti politici aveva già dato conto di un’escalation che non sembra avere fine.

Il senso di insicurezza generato, tuttavia, non ha premiato il candidato più securitario, Jan Topic, un passato da mercenario in diversi teatri di guerra, che i sondaggi davano per secondo. L’omicidio sembrerebbe avere avuto un duplice effetto. Da una parte, ha spinto in avanti Christian Zurita, il candidato che ha rimpiazzato Villavicencio in extremis, pur senza permettergli di arrivare al ballottaggio, ma portando il loro movimento al secondo posto nelle concomitanti elezioni legislative. Dall’altra, in seguito all’infamante e infondata accusa di essere dietro l’omicidio di Villavicencio rivolta a Correa da alcuni avversari, molte persone indecise se votare per un candidato non correista o annullare il proprio voto (in Ecuador recarsi alle urne è obbligatorio) hanno optato per la prima opzione. Questo ha danneggiato Luisa González, la quale sperava di vincere al primo turno – le regole del gioco prevedono che con il 40% e il 10% di scarto sul secondo si vince, ma i nulli vengono scorporati dal computo dei voti validi. Veniamo allora ai numeri: González si ferma al 33,61% dei voti, un risultato non molto distante da quello ottenuto dal candidato di Correa nel 2021, Andrés Araúz, che aveva ottenuto appena 282 mila voti in meno. Si conferma la teoria secondo la quale il correismo, senza scendere a compromessi con altre forze, non riesce ad andare oltre il suo zoccolo duro, che sembrerebbe attestarsi appunto intorno a un terzo dell’elettorato. Noboa ottiene invece un inatteso 23,47%, se si pensa che fino a due settimane prima tutti i sondaggi disponibili lo davano intorno al 5-6%.

Noboa il candidato sorpresa, dunque. Quali sono stati i fattori che lo hanno proiettato al secondo turno? Stanca della polarizzazione correismo/anticorreismo, la società ecuadoriana ha premiato colui che ha evitato di scontrarsi troppo aspramente con gli avversari, essendo stato tra l’altro poco attaccato e poco propenso ad attaccare durante il dibattito presidenziale, al termine del quale molti analisti sono stati concordi nel giudicarlo come il vero vincitore. Preferendo una campagna fatta di messaggi positivi, Noboa è riuscito a passare per il volto più fresco e preparato della politica ecuadoriana, sebbene a portarlo così in alto sembra siano state piuttosto pratiche tutt’altro che nuove. Avendo alle spalle una disponibilità finanziaria pressoché illimitata, la sua campagna è stata infatti caratterizzata da un’abbondante elargizione di servizi medici, alimenti, semenze, vestiti, in perfetto stile clientelare, senza contare l’articolazione di diverse reti vincolate al partito socialdemocratico Izquierda Democrática e ai transfughi del correismo. Ma cosa rappresenta, Noboa? Rispondere non è facilissimo, dal momento che il suo programma non dà definizioni troppo dettagliate e in alcune occasioni si è dichiarato di centro-sinistra, sebbene da legislatore si sia dimostrato ideologicamente piuttosto vicino al presidente uscente, il banchiere Guillermo Lasso. Non è un caso che recentemente abbia cercato di svincolarsi da quest’ultimo, sottolineando di aver votato spesso insieme al correismo, e mettendo in luce a proprio favore la differenza tra la ragione sociale dell’imprenditore, di cui è esponente, e quella del banchiere.

Nel campo correista serpeggia intanto la delusione. Il risultato di González sembra preludere a una ripetizione di quanto accaduto nel 2021: primi con un buon margine al primo turno, per poi soccombere al ballottaggio. Anche questa volta, è più facile pensare che i voti ottenuti dai candidati rimasti fuori dalla lizza si riversino sul candidato non correista. L’insistenza spasmodica sulla figura di Correa, il riscatto a tutti i costi della sua esperienza di governo, compresi i tratti meno edificanti, uno sguardo rivolto più al passato che al presente e al futuro, hanno fatto apparire la candidatura di Luisa González priva di una voce autentica, come se fosse esclusivamente al servizio del ritorno sulla scena politica dell’ex presidente (Correa è esule in Belgio dal 2017 e in molti vociferano che il compito di González sia limitato a smontare i processi e le condanne contro di lui e ad avviare una modifica costituzionale che gli permetta di tornare in campo). L’ombra lunga di Correa ha quindi rafforzato una faglia, quella tra correismo/anticorreismo, non solo ormai sterile, ma dalla quale il correismo rischia comunque di uscire nuovamente sconfitto. Questa insistenza parla di una hybris che ha portato González a una sostanziale incapacità di connettersi con diverse domande sociali emergenti.

Una prova lampante di ciò è data dal risultato dei due referendum di carattere ambientale che si sono svolti insieme alle elezioni. Il primo, relativo al blocco petrolifero 43 del parco nazionale amazzonico del Yasuní e di valenza nazionale, ha sancito (con un risultato di 60-40) lo stop all’estrazione dopo una battaglia decennale. Analogamente, i cittadini della provincia di Quito si sono espressi favorevolmente (qui per 70-30) all’interruzione dell’estrazione mineraria nel Chocó andino, un altro ecosistema di particolare importanza ambientale. Si tratta di vittorie storiche, che segnalano la diffusione di una soggettività ecologista nel paese che il correismo non è stato capace di intercettare. Al contrario, coerentemente con la mancata concessione del referendum sul parco del Yasuní durante la presidenza di Correa, il correismo è rimasto al riguardo ondivago durante la campagna elettorale. All’indomani del verdetto, Correa inoltre non si è trattenuto dal sottolineare che per compensare al mancato introito per l’erario statale, gli ecuadoriani dovranno mettere mani alle proprie tasche. Una netta mancanza di sintonia con i desiderata dell’elettorato, nonché un pessimo viatico per la sua candidata in vista dell’appuntamento elettorale del 15 ottobre.

 

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