di Samuele Mazzolini
Flagellato da una spirale di violenza e delinquenza senza pari nella sua storia, e afflitto da una crisi economica che ha aggravato ulteriormente povertà e disuguaglianze, l’Ecuador torna a far notizia anche sul versante politico. A differenza del 2019 e del 2022, non ci sono disordini di piazza da riportare né proteste oceaniche da analizzare sotto il profilo sociologico: il presidente Guillermo Lasso, un banchiere di ispirazione conservatrice e neoliberale, ha fatto ricorso a un meccanismo istituzionale previsto dalla Costituzione approvata nel 2008, conosciuto come muerte cruzada (morte incrociata), che spedisce a casa il parlamento… e se stesso. Messo alle strette da un processo di incriminazione portato avanti dal principale gruppo di opposizione dell’Asamblea Nacional e con il rischio di vedersi destituito per un pugno di voti, il presidente ha preferito andare sul sicuro. Il dispositivo costituzionale gli permette infatti di legiferare per decreto fino alle prossime elezioni (indette anticipatamente per la fine di agosto), senza dover più passare per il parlamento, che è stato letteralmente chiuso non appena apposta la firma sul provvedimento. Con la popolarità più bassa tra i presidenti latinoamericani, Lasso non aveva alcuna chance di essere rieletto ed è pertanto stato costretto ad acquistare tempo per poter organizzare “ordinatamente” la sua uscita di scena.
Nella tornata elettorale prevista si eleggerà quindi un nuovo presidente e, contestualmente, verrà rinnovato il parlamento, ma non per una legislatura intera (che in Ecuador dura quattro anni), bensì solo fino alla conclusione di quella attuale, prevista per maggio 2025. Quali sono le prospettive? Nelle recenti elezioni locali celebrate a febbraio 2023, il movimento politico guidato da Rafael Correa, il carismatico ex presidente di orientamento socialista in carica tra il 2007 e il 2017, ha rialzato la testa, imponendosi in ben 9 province (corrispondenti amministrativamente alle nostre regioni), comprese le due più popolate (Pichincha e Guayas), e vincendo alle comunali delle due città più importanti, la capitale Quito e Guayaquil (scalzando in questo caso l’ormai trentennale predominio del Partido Social Cristiano). I sondaggi di cui si dispone attualmente riflettono questa tendenza, sebbene le incognite siano ancora molte.
Tra esse va annoverata la scelta di Luisa González da parte di Correa come candidata del suo movimento Revolución Ciudadana, essendo l’ex presidente non solo impossibilitato a rimettere piede in Ecuador per la persecuzione giudiziaria di cui è stato vittima, ma anche inabilitato a ripresentarsi alla carica di presidente a causa della modifica costituzionale apportata dal suo successore Lenín Moreno. L’indicazione di González, fedelissima di Correa, ha scontentato i settori più progressisti del movimento, che speravano nella riconferma della candidatura di Andrés Arauz, uscito sconfitto proprio contro Lasso nel ballottaggio del 2021 e ora rilegato al ruolo di aspirante vicepresidente. La scelta non suggerisce soltanto che Correa sia intenzionato a mantenere una presenza preponderante nella politica nazionale nonostante un esilio che ormai dura da oltre cinque anni. A detta di molti, il piano di Correa punterebbe a smontare le accuse nei suoi confronti e modificare la Carta Magna, via assemblea costituente, per permettergli di tornare in pista alle elezioni del 2025.
Si tratta di un percorso irto di ostacoli, sul quale è legittimo nutrire dei dubbi per via di un eccesso di personalismo che la popolazione aveva già castigato in precedenza. Sebbene la situazione attuale stia facendo rimpiangere a molti il periodo della sua presidenza, è altrettanto vero che un fare accentratore e l’eccesso di polarizzazione avevano reso la sua figura invisa a settori sempre più ampi e ridotto il suo appoggio a un tetto stimabile intorno al 30-35% dell’elettorato. Qualora la strategia della Revolución Ciudadana si riducesse a favorire unicamente il suo ritorno, le antiche remore potrebbero tornare ad attivarsi, magari non alle prossime elezioni, ma nell’eventuale percorso costituente.
Il prossimo ritorno alle urne, tuttavia, ha tutt’altro che un esito scontato, specialmente in caso di ballottaggio. Tra i candidati già in lizza e con maggiori possibilità figura Jan Topić, sinora estraneo alla politica nazionale, ma la cui discesa in campo per conto del Partido Social Cristiano ha già destato molto clamore. Ammiratore della politica dal pugno di ferro del presidente salvadoregno Nayib Bukele e con una formazione militare ricevuta presso la Legione francese, Topić assicura di aver combattuto in Ucraina, in Siria e nella Repubblica Centrafricana. Nonostante l’accusa di essere un mercenario, l’attuale ondata di crimine che investe il paese fa di lui un’opzione elettoralmente competitiva. Con meno possibilità, ma con percentuali di partenza tutt’altro che disprezzabili, ci sono anche Yaku Pérez, candidato del partito indigeno Pachakutik che aveva sfiorato di un soffio il ballottaggio nel 2021, con una proposta eco-femminista ma meno netto di Correa sul piano dei diritti socio-economici, e Otto Sonnenholzner, già vicepresidente di Moreno e collocabile politicamente nell’alveo del centro-destra.
Dopo la parentesi di stabilità vissuta durante l’epoca di Correa, l’Ecuador è balzato agli onori della cronaca per la crescita esponenziale degli omicidi (passati da 5,8 a 25,5 per 100 mila abitanti dal 2017 al 2022), il dilagare del narcotraffico e i massacri tra bande rivali all’interno delle carceri. La corruzione ha raggiunto nuovi apici, tanto da interessare anche il cognato del presidente e un suo collaboratore. Le investigazioni contro quest’ultimo sarebbero state bloccate dallo stesso Lasso, prima di venire trovato morto dalla polizia a fine marzo. Secondo alcune investigazioni, Lasso inoltre deterrebbe, grazie a una rete di compagnie fittizie, consistenti attivi negli Stati Uniti, nonostante la legge ecuadoriana lo impedisca espressamente. Recentemente, alcuni deputati statunitensi hanno invitato l’amministrazione Biden a rivedere le relazioni bilaterali alla luce di queste accuse, ritenute “altamente credibili”. Sembrano essere questi i temi principali ai quali i candidati dovranno fornire risposte a un elettorato più che mai preoccupato per la sorte del proprio paese.