articolo

Francia: la lunga crisi del macronismo

Francia: la lunga crisi del macronismo

Condividi su:

 

di Valerio Alfonso Bruno 

 

Il 2 dicembre scorso, in Francia, il partito di estrema destra Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen e Jordan Bardella, ha presentato una mozione di sfiducia contro il governo francese guidato da Michel Barnier, ex negoziatore capo dell'Unione Europea (UE) per la Brexit. La mozione è stata avanzata dopo richieste di modifica al disegno di legge sul bilancio, segnando il culmine di mesi di tensioni politiche che hanno messo a dura prova il Presidente della Repubblica, Emmanuel Macron.

Le attuali difficoltà politiche francesi affondano le loro radici nelle elezioni del Parlamento Europeo di giugno 2024, quando il RN ha ottenuto il 31,37% dei voti, conquistando 30 seggi e diventando il gruppo più numeroso del Parlamento Europeo. Il casus belli della crisi più recente è stato invece la mancata approvazione in Parlamento di un bilancio di austerity particolarmente rigoroso, progettato per fronteggiare il rapido peggioramento delle finanze pubbliche francesi. Il piano del governo Barnier, che prevedeva tagli significativi alla spesa pubblica e l’introduzione di imposte straordinarie con l'obiettivo di risparmiare 60 miliardi di euro entro il 2025, si è scontrato con una situazione politica estremamente polarizzata. Le opposizioni, compreso il RN e La France Insoumise, il partito di sinistra radicale guidato da Jean-Luc Mélenchon, hanno unito le forze per ostacolare il piano, lasciando il governo in una posizione di estrema vulnerabilità. Il 13 dicembre Macron ha nominato François Bayrou nuovo Primo Ministro della Francia, cercando di mettere a tacere dubbi sulla capacità dello stesso Macron di affrontare tensioni politiche interne, il cui vero termine a quo può essere rintracciato nelle elezioni europee dello scorso giugno.

La situazione in Francia è complicata dal fatto che la crisi politica si inserisce in un contesto di marcata fragilità economica. Il collasso del governo Barnier ha innescato una reazione negativa da parte degli investitori, spingendoli a vendere azioni e obbligazioni francesi, con un conseguente aumento significativo dei costi di finanziamento per il Paese. È lecito chiedersi se la Francia possa trovarsi di fronte a scenari simili alla crisi dello spread che colpì l’Italia tra il 2011 e il 2012.

Il Paese si distingue oggi come uno dei più vulnerabili finanziariamente in Europa, con debito e deficit in costante crescita. Il deficit è attualmente al 6,1% del PIL, in aumento rispetto al 5,5% dell’anno precedente, mentre il debito pubblico ha superato i 3,2 trilioni di euro, raggiungendo il 112% del PIL (nota bene: valori ben al di sopra dei limiti previsti dalle regole europee, che fissano il debito al massimo al 60% del PIL e il deficit al 3%). Parigi da anni affronta difficoltà strutturali legate al suo disavanzo di bilancio e al peso del debito pubblico, ma negli ultimi tempi la situazione è peggiorata. Fino al 2008, il debito pubblico francese era in linea con la media europea e su livelli gestibili. Se la crisi finanziaria globale ha segnato una svolta, la pandemia di COVID-19 ha ulteriormente aggravato il quadro, richiedendo ingenti spese per sostenere l’economia e il sistema sanitario. Infine, più recentemente, la crisi energetica e le tensioni geopolitiche legate alla guerra in Ucraina scatenata dalla Russia hanno esercitato ulteriori pressioni sulle finanze pubbliche, mantenendo elevato il livello di indebitamento e lasciando la Francia in una posizione di vulnerabilità economica.

Nonostante le difficoltà economiche che la Francia ha affrontato, sia in passato che nel presente, il Paese ha generalmente conservato una solida credibilità internazionale. L'eventualità di un default, legata all'incapacità di rispettare gli impegni finanziari, pare remota, grazie alla fiducia costruita su solide basi storiche e strutturali dell'economia francese. Questa reputazione di affidabilità trova riscontro nell’atteggiamento tendenzialmente positivo dei mercati finanziari internazionali, che continuano a concedere credito alla Francia anche in contesti politici complessi, come quello delle ultime settimane.

Anche durante le crisi più severe, come la già menzionata pandemia di COVID-19, la Francia ha dimostrato la capacità di onorare i propri obblighi finanziari. Questa percezione di stabilità rappresenta un elemento cruciale, che permette al Paese di affrontare momenti difficili senza subire gravi ripercussioni economico-finanziarie. Un aspetto fondamentale che sostiene l’economia francese è il ruolo centrale che la Francia occupa all'interno dell’UE, sia politicamente che economicamente. Questa posizione strategica funge da “scudo” contro scenari simili alla crisi dello spread che colpì l’Italia nel 2011-2012. Ciononostante la situazione rimane delicata e il futuro dipenderà dalla capacità di Macron, e del nuovo governo Bayrou, di risolvere i problemi strutturali dell'economia e gestire le tensioni interne con decisione e visione strategica.

E’ errato esagerare i possibili rischi a livello economico-finanziario della Francia, tuttavia è indubbio che la popolarità in termini di consensi per il presidente Macron sia in costante declino, nonostante lo stesso abbia ribadito recentemente che rimarrà in carica fino alla fine del suo mandato, nel 2027. Allargando lo sguardo sull’Unione, anche la Germania, grande potenza economia dell’UE, pare ormai all’interno di una spirale di crisi politica ma anche economica (basti pensare al settore dell’automotive). Il Cancelliere tedesco Olaf Scholz ha recentemente avanzato una richiesta formale di voto di fiducia al Bundestag, con la decisione prevista per il 16 dicembre. Se, come ampiamente anticipato, il parlamento voterà contro di lui, Scholz proporrà al Presidente federale Frank-Walter Steinmeier di sciogliere il Bundestag. Spetterà poi a Steinmeier decidere se accettare questa proposta, anche se in un discorso di novembre ha lasciato intendere che lo scioglimento sia l'ipotesi più probabile. In tal caso, nuove elezioni dovranno essere indette entro sessanta giorni, con data prevista per il 23 febbraio 2025.

La recente debolezza della leadership politica in Francia e Germania potrebbe offrire all’Italia l’opportunità di rafforzare la propria posizione, sia a livello internazionale che nel contesto domestico. In un panorama europeo caratterizzato da instabilità e incertezza, l’Italia potrebbe avvantaggiarsi grazie a un governo che, contro ogni previsione iniziale, ha mostrato una sorprendente capacità di tenuta. A livello domestico, il governo di destra guidato dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dimostrato, in questi due anni, di essere in grado di mantenere una coesione interna importante. Questo è avvenuto nonostante le iniziali preoccupazioni di molti analisti, che temevano possibili spaccature all’interno della coalizione formata da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Certamente, non sono mancate alcune divergenze, come le recenti scaramucce tra Lega e Forza Italia su temi specifici. Tuttavia, queste tensioni, piuttosto che destabilizzare il governo, sono state gestite con relativa efficacia, evitando crisi più profonde.

La stabilità dimostrata dal governo Meloni rappresenta un elemento di discontinuità rispetto ai frequenti cambi di esecutivo che hanno caratterizzato la politica italiana negli ultimi decenni. Questo clima di maggiore continuità potrebbe fornire all’Italia una posizione solida per proporsi come interlocutore affidabile nel contesto europeo, soprattutto in un momento in cui Paesi tradizionalmente influenti come Francia e Germania stanno affrontando difficoltà interne e una crescente instabilità politica. A livello di politica internazionale gli Stati Uniti, con la recente vittoria ottenuta da Donald Trump, potrebbero trovare nell’Italia guidata da Giorgia Meloni un insperato fulcro su cui fare perno: una leadership politica allo tempo stesso pragmatica ed ideologicamente affine (destra radicale). Elementi in tal senso parrebbero emergere, tra l’altro, dai recenti incontri tra Trump (e l’ormai onnipresente Musk) con il PM dell’Italia, i cui rapporti sembrerebbero essere ottimi, e rappresenterebbero per il neoeletto presidente americano e Giorgia Meloni la più classica delle situazioni win-win: per gli Stati Uniti di Trump una partnership preziosa e fidata nell’Unione Europea e nella NATO, per il governo Meloni un ulteriore passo per accreditarsi come ago della bilancia nei delicati equilibri europei e rinsaldarsi domesticamente.

 

Valerio Alfonso Bruno è Assegnista di ricerca presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.

Data

Condividi su:

Newsletter

Iscriviti alla newsletter