Intervista

Università e terrorismo in Spagna

Università e terrorismo in Spagna

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di Francesco Morici*

 

Il 18 aprile 2023 si è tenuto l’incontro “Università e terrorismo. Il caso spagnolo negli anni di piombo”, aperto dai saluti di Damiano Palano e da una introduzione di Maria Bocci e moderato da Paolo Valvo. La relatrice principale è stata Ana Escauriaza Escudero dell’Università di Navarra, attualmente visiting researcher presso l’Università Cattolica, che al termine dell’incontro ha acconsentito a rispondere ad alcune domande per il sito di Polidemos.

 

Nella memoria degli italiani, gli anni del terrorismo vengono individuati nei cosiddetti “anni di piombo”, un periodo compreso tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta. Un lasso di tempo che non è paragonabile ai quasi sessant’anni (1959-2018) di attività dell’organizzazione terroristica basca E.T.A. in Spagna. Secondo lei, quali sono stati gli elementi che hanno favorito una così lunga durata delle attività terroristiche a differenza di quanto accaduto in Italia?

Anche in Spagna c’è un periodo che si chiama “anni di piombo” e che corrisponde, più o meno, agli anni tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta. Anche nel caso spagnolo furono anni molto difficili con molti uccisi e feriti, soprattutto dove l’ETA aveva una grande forza e contava su un grande sostegno. Solo nel 1980 l’ETA uccise 98 persone. Tra il 1975 e il 1982 parliamo di 340 uccisi e 305 feriti. A partire dal 1992, dopo l’operazione Bidart, la forza dell’ETA diminuì notevolmente, anche se continuò a compiere atti terroristici. La sua ultima vittima fu nell’anno 2010 e il “cessate il fuoco” definitivo nel 2011. Probabilmente parte del “successo” dell’ETA, soprattutto agli inizi, è il contesto storico, molto diverso da quello italiano. La Spagna era una dittatura nel 1959 e per molti, tanto per gli spagnoli quanto per il resto del mondo, l’ETA appariva principalmente come un gruppo antifranchista. Dall’altro lato, una delle grandi differenze con il terrorismo italiano è la radice nazionalista dell’ETA. Si tratta di una organizzazione che non cerca solo un cambio del sistema, come può accadere con altri gruppi terroristici (quali ad esempio le Brigate Rosse in Italia), ma soprattutto l’indipendenza e la creazione di un nuovo Paese. Questo ne facilita la durata nel tempo, poiché il sentimento nazionalista è – di solito – più forte del sentimento di classe e gode di un sostegno sociale più forte. Ma, soprattutto, credo che l’ETA abbia avuto una tale durata perché non era solo un gruppo terrorista, ma disponeva anche di un partito politico (Harri Batasuna), di mezzi di comunicazione (Egin), di associazioni giovanili (Jarrai), etc. Questo, da una parte, le assicurò la sopravvivenza economica, fondamentale; e dall’altra, ha consentito che, anche quando l’ETA non poteva uccidere, la sua struttura mantenesse un clima di terrore nella società, ad esempio attraverso le azioni di “kale borroka” (lotta di strada).

Queste ultime erano portate avanti soprattutto da giovani che ricorrevano a mezzi quali il lancio di bottiglie molotov, l’incendio o la distruzione dell’arredo urbano o di veicoli e autobus, gli attacchi alle sedi di partiti politici o di imprese, etc. Parliamo di 6.541 attacchi tra il 1996 e il 2011. In altre parole, la chiave della durata nel tempo di ETA va cercata in parte nella sua ideologia, in parte però anche nella struttura che ha continuato ad alimentare nel tempo e alla sua presa sulla società, già notevole fin dai suoi primi anni. A partire dagli anni Novanta il sostegno a ETA avrebbe iniziato a scemare, nonostante la continuazione degli attacchi, riflettendosi anche nella progressiva perdita di consenso elettorale del ramo politico di ETA, Harri Batasuna (HB)

 

Lei ha scritto un libro intitolato Violencia, Silencio y Resistencia. ETA y la Universidad (1959-2011). Chi legge i nostri articoli è probabilmente uno studente o un docente e penso sia curioso di sapere perché un’organizzazione terroristica, come l’ETA, aveva tra i suoi obiettivi l’ambito universitario e quale ruolo ha avuto l’università nella resistenza al terrorismo. Che cosa può dirci a riguardo?

Effettivamente, come un qualsiasi gruppo terrorista, l’ETA aveva un fine politico e cercava di raggiungerlo con la violenza. Tale fine consisteva nella creazione di un nuovo Stato, Euskal Herria, indipendente dalla Spagna e dalla Francia. All’interno di questo Paese era necessario creare un sistema educativo e, al suo interno, un’università. È in tal senso che quest’ultima si è trasformata in un obiettivo da controllare per l’ETA. Per chiunque voglia imporre alla maggioranza della popolazione il proprio modo di vedere la politica, l’educazione e la gioventù risultano essere gli ambiti chiave, rappresentando il modo più efficace di conservare e assicurare il futuro di qualunque ideologia. Pertanto, fin dal suo inizio nel 1959 l’ETA teorizzò il tipo di università che doveva esistere in Euskal Herria, utilizzando la violenza contro quelle istituzioni universitarie che non corrispondevano a tale modello. Gli attacchi furono tanto contro gli istituti pubblici quanto quelli privati. Di solito si trattava di azioni generiche contro l’università, ma soprattutto a partire dal 1995 ci furono anche attacchi contro singoli professori o studenti. La resistenza offerta dall’università fu simile a quella della società. Nei primi anni, quando ancora la paura era dominante, trionfò il silenzio e non ci fu un supporto sufficiente alle vittime della violenza. A partire dagli anni Novanta, e soprattutto dopo l’assassinio del giurista e professore Francisco Tomás y Valiente (Universidad Autónoma de Madrid), iniziò una reazione molto più forte da parte del mondo universitario. In ogni caso, e malgrado il silenzio iniziale, è anche vero che le prime manifestazioni nelle università contro gli assassinii commessi dall’ETA risalgono agli anni Ottanta. In alcuni casi furono le istituzioni universitarie stesse a condannare il terrorismo, qualcosa che non accadde in altri ambiti. Per questo si può dire che l’università fu pioniera nella reazione alla violenza terroristica.

 

Crede che una delle differenze tra il terrorismo in Spagna e quello in Italia si possa ricondurre alla diversa natura dei regimi politici in cui le organizzazioni terroristiche sono nate: in Italia un regime democratico, mentre in Spagna fino al 1975 una dittatura?

Ovviamente il contesto influisce e il fatto che la Spagna fosse una dittatura giocò un ruolo nello sviluppo dell’ETA e delle altre organizzazioni terroristiche. Del resto la presenza di gruppi terroristici nello stesso periodo in Italia e in altri paesi democratici europei suggerisce di cercare anche oltre la dittatura le matrici ideali e culturali di organizzazioni come l’ETA o i GRAPO (Grupos de Resistencia Antifascista Primero de Octubre). Nel caso dell’ETA parliamo di una organizzazione che afferma di essere nata non per combattere il franchismo bensì la Spagna, dal momento che la sua ideologia si rifà al nazionalismo radicale. Nasce durante il franchismo e si qualifica come antifranchista, ma soprattutto è antispagnola. È in ogni caso probabile che il franchismo abbia fornito all’opinione pubblica nazionale e internazionale pretesti per giustificare l’esistenza dell’ETA, e che questa giustificazione possa aver aiutato l’organizzazione a consolidarsi nei suoi primi anni di vita.

 

Per chi volesse approfondire il tema del terrorismo in Spagna e nei Paesi baschi quali fonti scritte o documentari suggerirebbe?

Negli ultimi anni sono stati pubblicati molti lavori che possono aiutare a comprendere il fenomeno dell’ETA, sebbene ancora rimanga molto da indagare, dal momento che si tratta di una organizzazione e di una storia molto recenti. Per citarne solo alcuni, credo che siano indispensabili i lavori degli storici Gaizka Fernández Sodlevilla (Historia del terrorismo en España. De ETA al Daesh e 1980. El terrorismo contra la transición, da lui curato insieme a María Jiménez) e Rául López Romo (Informe Foronda: los efectos del terrorismo en la sociedad vasca). Devo anche menzionare Florencio Domínguez Iribarren, uno dei primi a studiare l’ETA, il quale dirige il Centro Memorial de las Víctimas del Terrorismo a Vitoria-Gasteiz (ETA: estrategia organizativa y actuaciones, 1978-1992 e Las raíces del miedo: Euskadi, una sociedad atemorizada).

A chi preferisce addentrarsi nella tematica per una via non accademica, consiglio la visione della serie “La línea invisible”, diretta da Abel García Roure. Si può anche leggere il best seller di Fernando Aramburu, Patria, che aiuta a conoscere il clima di terrore nel quale si è dovuto vivere in Spagna per molti anni. Anche Amazon ha prodotto un documentario, “The Challenge: ETA”, e ce sono altri molto ben fatti dedicati alle vittime, come “Trece entre mil”, di Iñaki Arteta, o “Relatos de plomo”, basato sull’omonimo libro curato da Javier Marrodán.

 

* Studente della Laurea magistrale in Politiche pubbliche

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