Intervista

Una divergenza da colmare

Una divergenza da colmare

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Intervista di Antonio Campati a Filippo Pizzolato

 

Uno dei rischi più pericolosi che corrono le nostre democrazie è legato al graduale aumento della divergenza tra vitalità partecipativa e struttura istituzionale. In sostanza, da almeno tre decenni, in Italia (e non solo), l’attivismo dei cittadini, dei gruppi e dei corpi intermedi appare sempre più estraneo alle dinamiche formali che governano la democrazia. Filippo Pizzolato – professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Padova e docente di Dottrina dello Stato presso l’Università Cattolica – ha scritto un libro (Resistenza, conflitto, partecipazione. Vitalità democratica e forme istituzionali, Vita e Pensiero, 2023) che parte da tale constatazione e offre delle suggestioni interessanti. In questa intervista che ha rilasciato a Polidemos ne ripercorre sinteticamente i tratti salienti.

Professor Pizzolato, le argomentazioni presentate nel suo libro ruotano attorno al tentativo di riallineare – almeno parzialmente – le modalità attraverso le quali si esprimono la vitalità partecipativa e la struttura istituzionale della democrazia contemporanea. La sua riflessione si sviluppa su tre direttrici, richiamate nel titolo: resistenza, conflitto, partecipazione. Rispetto alla prima lei scrive che il diritto di resistenza può essere inteso come lo strumento di difesa di una democrazia partecipativa. In che senso?

Il diritto-dovere di resistenza è un istituto dalla antica e gloriosa storia. Esso riconosce al popolo la legittima opposizione contro la degenerazione tirannica del potere, in nome di un ordine di giustizia che, in quanto riconosciuto superiore ai comandi del sovrano, si mira a ripristinare. Ben si comprende perché all’indomani delle dittature totalitarie si sia recuperato questo antico istituto. Anche in Assemblea costituente, per mano di Dossetti, giunse la proposta di costituzionalizzare il diritto-dovere di resistenza, individuale e collettiva: proposta non approvata soprattutto per la paradossalità di questo “diritto di infrangere il diritto”. E tuttavia la sostanza di quella proposta non è andata persa, perché la Costituzione apre percorsi di fluidificazione del collegamento tra forme della partecipazione popolare e condutture istituzionali, per prevenire e contrastare l’occlusione delle seconde. Attraverso il riconoscimento delle sfere di autonomia e di partecipazione, si è introdotto un fattore di “ferializzazione” della resistenza civica contro la chiusura della sfera pubblica.

 

Come si è anticipato, la seconda direttrice lungo la quale si sviluppa il suo libro è il conflitto. Attraverso un originale accostamento tra la composita tradizione del pensiero politico del repubblicanesimo e i principi espressi dalla Costituzione italiana, la sua riflessione (ri)mette in primo piano il tema dell’istituzionalizzazione del conflitto. Perché è importante accogliere il pluralismo non solo nella sua veste collaborativa, ma anche in quella più conflittuale e antagonistica?

La distinzione tra la partecipazione collaborativa e quella antagonistica è insidiosa, perché può essere la spia di una volontà di strumentalizzazione della partecipazione stessa, che è accolta nella misura in cui non mette in discussione gli assetti di potere. La Costituzione italiana rientra nel novero delle costituzioni che Sunstein definisce “trasformative”, perché “non cercano di preservare un passato idealizzato”. Essa incorpora un principio di contestazione della realtà in quel compito della Repubblica di rimozione dei concreti ostacoli alla partecipazione. Le vie dell’incorporazione del conflitto nella sfera istituzionale (la rappresentanza animata da partiti, la dialettica tra diversi livelli della Repubblica, i referendum, ecc…) solo in misura molto limitata hanno sprigionato questa carica trasformativa, sia per la diserzione dei partiti, sia per la prevalenza di un’idea semplificata di unità, tutta di potere, che è la negazione della natura irriducibilmente plurale ed articolata delle forme della sovranità popolare.

 

Infine, la terza direttrice è la partecipazione, che viene considerata anche in relazione alla questione della rappresentanza politica. È forse nelle pagine del terzo capitolo che viene analizzata in maniera più puntuale la tensione fra vitalità civica e vincoli istituzionali. In che modo i vari dinamismi presenti nella società possono essere integrati – ma non annullati – all’interno della struttura istituzionale di uno Stato democratico?

Siamo in un tempo contraddittorio, insieme di conclamata post-democrazia e di celebrazione retorica della partecipazione. È cruciale quindi discernere tra la mera “messa in scena”, a mo’ di spot, del coinvolgimento civico, utile solo alla legittimazione del potere, da quella partecipazione capace di innescare processi trasformativi che tendano ad umanizzare i rapporti sociali ed economici. Non si tratta di progettare laboratori isolati o spazi recintati di una partecipazione artificiale quanto occasionale, ma di rendere abitabili e accoglienti gli ambiti della vita associata: scuola, luoghi della cura e del lavoro, ecc… Nella prospettiva costituzionale l’efficacia trasformativa della partecipazione si misura proprio sull’effetto di rendere abitabili, come ambiti di democrazia e di fioritura umana, i concreti luoghi del vivere umano e i rapporti sociali ed economici. Il tema della partecipazione dei lavoratori sarebbe allora cruciale; eppure resta costantemente eluso.

 

Filippo Pizzolato è Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Padova e docente di Dottrina dello Stato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Antonio Campati è Ricercatore in FIlosofia politica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore.

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