Editoriale

Un osservatorio sulla democrazia italiana

Un osservatorio sulla democrazia italiana

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di Damiano Palano

 

Nel 2024 saranno circa due miliardi i cittadini chiamati alle urne in più di settanta paesi. Non in tutti i casi si tratterà di elezioni competitive e, anzi, spesso le votazioni serviranno solo a fornire una legittimazione di facciata alla classe politica al potere. Ma è molto probabile che, anche a seguito di alcuni di questi appuntamenti elettorali, gli scenari della politica globale potrebbero essere sensibilmente diversi da quelli di oggi. Non ci si devono attendere grandi sorprese dalle elezioni in Russia, e anche la riconferma di Narendra Modi in India – in quella che rimane comunque la più popolosa democrazia del mondo – appare piuttosto probabile. Sono invece incerti gli esiti della contesa per il Parlamento europeo e del confronto per la presidenza degli Stati Uniti, che vedrà impegnati probabilmente Joe Biden e Donald Trump. Dopo molti decenni, le elezioni europee di giugno potrebbero infatti mettere in discussione la centralità dell’alleanza tra popolari e socialisti all’interno dell’emiciclo di Strasburgo e si potrebbe così assistere, anche in questo caso, a uno spostamento verso destra degli equilibri politici. Ma è naturalmente dalla corsa per la conquista della Casa Bianca che ci si attendono le ricadute più significative per gli assetti globali, per i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico e per le stesse sorti delle nostre democrazie.

Da più di un quindicennio, diversi osservatori invitano a riconoscere la tendenza verso una sorta di “recessione democratica”, consistente nella riduzione del numero complessivo di paesi che, nel mondo, rispettano gli standard democratici. Non sempre queste diagnosi si basano su stime convincenti, ma è certo che a partire dalla crisi finanziaria globale qualcosa è cambiato, non solo per effetto delle difficoltà strettamente economiche, ma per una serie di fattori che sono andati intrecciandosi.

Oltre a guardare alle tendenze della politica internazionale, e a quella che a molti appare come una netta divaricazione fra democrazie e autocrazie, è però necessario osservare in profondità ciò che avviene dentro le nostre società e nel tessuto su cui si reggono i regimi democratici. Perché, se certo le autocrazie sembrano acquistare nel mondo un ruolo sempre più significativo, le democrazie si trovano a fronteggiare – al loro interno – un nemico altrettanto insidioso, che ha a che vedere con l’avanzare di una disaffezione tanto costante da apparire persino strutturale.

Una recente indagine condotta da Ipsos in sette paesi (Croazia, Francia, Italia, Polonia, Regno Unito, Stati Uniti, Svezia) registra infatti un livello non entusiasmante di soddisfazione sul funzionamento della democrazia. Se solo il 20% degli svedesi risulta insoddisfatto, la situazione sembra molto diversa in tutti gli altri paesi, a cominciare dagli Usa, dove gli insoddisfatti sono il 56%, per arrivare all’Italia (51%) e alla Francia (51%). Ed è altrettanto significativo che in alcuni contesti sia davvero alta la percentuale di coloro che pensano che, negli ultimi cinque anni, la situazione della democrazia sia sostanzialmente peggiorata (il 73% in Francia, il 70% negli Stati Uniti, il 61% nel Regno Unito).

Naturalmente nessuno di questi dati può essere preso come un indicatore sufficiente per comprendere lo stato complessivo della democrazia, che dipende anche da tanti altri fattori. Che hanno a che vedere per esempio con i modi con cui si partecipa alla politica, con cui ci si informa, con cui si definiscono le identità collettive. Ed è molto probabile che quanto ci rivelano i sondaggi rappresenti solo la superficie di un fenomeno dalle radici ben più profonde, che, come tale, non può non incidere sul funzionamento, sulla stabilità e sul futuro delle istituzioni.

È anche per studiare in profondità queste trasformazioni che Polidemos avvia una collaborazione con Ipsos finalizzata a dar vita a un osservatorio sulla democrazia italiana. Un osservatorio che intende puntare lo sguardo proprio su come la democrazia viene percepita, su come ci si informa, su come le nuove generazioni partecipano alla politica, o sul perché non partecipano affatto. Più che di registrare i mutevoli orientamenti di voto, si tratterà dunque di decifrare mutamenti profondi. E tutto fa pensare che – a prescindere dai risultati che ci consegnerà l’anno con più elezioni della storia – questo lavoro ci impegnerà a lungo.

 

Damiano Palano è Direttore del Centro per lo studio della democrazia e dei mutamenti politici (Polidemos).

 

Foto credits: Element5 Digital su Unsplash

 

 

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