Paper IAI

Sport e politica, il doppio standard che divide

Sport e politica, il doppio standard che divide

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Redazione

 

Lo sport è davvero neutrale? È questa la domanda che percorre il paper firmato da Leo Goretti e Jörg Krieger e pubblicato dall’Istituto Affari Internazionali, un lavoro che affronta un nodo spinoso e sempre più difficile da aggirare: il rapporto tra sport e politica. Gli autori prendono in esame le scelte assunte dalle principali organizzazioni sportive internazionali negli ultimi anni, con un confronto che non può non colpire per la sua evidenza: da un lato la Russia, esclusa a tempo di record dalle competizioni dopo l’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022; dall’altro Israele, contro cui non è stata presa alcuna misura analoga durante la guerra a Gaza, esplosa nell’ottobre 2023 e protrattasi anche oltre il periodo della tregua olimpica di Parigi 2024.

La decisione del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), della FIFA e di molte federazioni di bandire atleti e squadre russe e bielorusse era stata motivata da una serie di ragioni precise. Innanzitutto, la violazione della tregua olimpica, tradizionalmente legata allo svolgimento dei Giochi. Poi il rischio di compromettere i principi stessi dell’Olimpismo – dignità, pace, rispetto reciproco – e la constatazione che gli atleti ucraini non avrebbero potuto competere in condizioni di parità, costretti come erano a interrompere gli allenamenti o a lasciare il Paese. Non meno rilevante era stato il tentativo delle autorità sportive russe di inglobare club e federazioni delle regioni occupate, in violazione del principio di giurisdizione.

Secondo Goretti e Krieger, però, le stesse motivazioni si applicano – con pari forza, se non maggiore – anche al caso di Israele. A Gaza, durante le operazioni militari, diversi impianti sportivi sono stati rasi al suolo, numerosi atleti palestinesi hanno perso la vita e la possibilità stessa di allenarsi è stata compromessa in maniera drammatica. La prosecuzione delle ostilità anche nel pieno della tregua olimpica del 2024 rappresenta, agli occhi degli autori, una violazione palese dei principi invocati due anni prima contro Mosca. Persino la Carta Olimpica, che richiama esplicitamente la dignità umana, risulterebbe infranta dalle conseguenze umanitarie del conflitto.

Il tema della giurisdizione sportiva mostra altre affinità. Se la Russia era stata accusata di inglobare squadre dei territori occupati, alcune società israeliane hanno disputato incontri o svolto attività negli insediamenti della Cisgiordania, che ricadono formalmente nella competenza della federazione palestinese. Anche in questo caso, tuttavia, CIO e FIFA non hanno adottato alcuna misura punitiva.

Perché allora questa disparità? Gli autori riconoscono che nel 2022 un ruolo cruciale lo ebbe la pressione esercitata da molte federazioni nazionali, che si rifiutarono di affrontare squadre russe. Nel caso di Israele, invece, questa mobilitazione non si è manifestata con la stessa intensità, pur in presenza di proteste e richieste di esclusione arrivate dal mondo arabo e, in misura minore, dall’Europa. Il risultato, osservano Goretti e Krieger, è un doppio standard che mina la credibilità delle istituzioni sportive internazionali.

Il punto centrale del paper è proprio la fragilità della cosiddetta neutralità dello sport. Neutralità che si dissolve ogni volta che le regole vengono applicate in modo selettivo o incoerente. Escludere la Russia e non Israele significa, di fatto, ammettere che principi come pace e diritti umani sono subordinati a calcoli geopolitici e rapporti di forza. In questo modo, le organizzazioni sportive rischiano di erodere la propria legittimità morale e politica, mostrando di non essere arbitri imparziali ma attori condizionati dalle convenienze del momento.

Goretti e Krieger non ignorano le differenze di contesto. La guerra russo-ucraina è recente, ha provocato un’ondata immediata di condanna e una mobilitazione internazionale rapida e compatta. Il conflitto israelo-palestinese, al contrario, ha radici decennali ed è segnato da divisioni politiche e diplomatiche profonde. Tuttavia, ricordano gli autori, proprio perché le istituzioni sportive rivendicano di promuovere la pace e i diritti umani, non possono permettersi di applicare le proprie regole in modo diseguale.

La conclusione è chiara e dura: la discrepanza non riguarda solo la coerenza etica, ma la sostenibilità politica delle stesse organizzazioni sportive. Continuare con un doppio standard – durezza con la Russia, indulgenza con Israele – espone il mondo dello sport al sospetto di strumentalità e complicità con le potenze geopolitiche.

Per invertire la rotta, servirebbe un ripensamento radicale dei meccanismi decisionali, ancorato a principi universali, chiari e applicati senza eccezioni. Solo così lo sport internazionale potrebbe recuperare la credibilità necessaria a presentarsi come spazio autenticamente neutrale e promotore di pace.

 

Foto di Girish Sangammanavar su Unsplash

 

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