di Tommaso Rossi*
Che cosa aspettarsi dalla corsa alle elezioni presidenziali americane del 2024? Come potrebbe influire sullo sviluppo della campagna elettorale un eventuale arresto di Donald Trump? A margine dell'incontro "Usa: la lunga strada verso il voto. Le trasformazioni del sistema politico statunitense e le elezioni presidenziali del 2024", che si è tenuto a Brescia il 21 marzo 2023, abbiamo posto alcune domande a Gianluca Pastori, professore associato di Storia delle relazioni internazionali presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, per comprendere meglio lo scenario attuale e le prospettive future.
La presidenza Trump tra il 2016 e il 2020 ha portato a forti tensioni nel rapporto transatlantico, nelle sue due dimensioni delle relazioni tra gli USA e l’Unione Europea e delle dinamiche in seno alla NATO. Alla luce dell’invasione Russa ai danni dell’Ucraina e del ruolo cinese nella ridefinizione dei rapporti tra Russia e Stati Uniti, come crede possano evolversi i legami tra questi paesi a fronte di una eventuale vittoria elettorale dell’ex presidente?
Nonostante le tensioni, gli ultimi mesi della (prima?) amministrazione Trump hanno visto crescere la convergenza fra Stati Uniti ed Europa (intesa sia come singoli paesi, sia come Unione), soprattutto per quanto concerne il contenimento della penetrazione cinese nei settori considerati strategici, come quelli delle infrastrutture, della TLC e dell’hi-tech. L’amministrazione Biden ha favorito questo processo, collegando esplicitamente l’accresciuto potenziale economico, diplomatico, militare e tecnologico della Cina alla sua ambizione a rimodellare le coordinate dell’attuale ordine internazionale. La stessa NATO, con il Concetto strategico del 2022, ha identificato “le ambizioni e le politiche coercitive della Cina” come “una minaccia agli interessi, alla sicurezza e ai valori” dei suoi Stati membri. È difficile che un cambio della guardia alla Casa Bianca segni un passo indietro significativo rispetto a queste posizioni. L’impatto potrebbe essere, piuttosto, sulla ‘fluidità’ della collaborazione transatlantica e sul senso di ‘common purpose’, campi in cui, con l’amministrazione Biden ci sono stati significativi miglioramenti. La questione dei rapporti con la Russia è più delicata. Anche recentemente Trump ha affermato di essere in grado di fermare la guerra in Ucraina “in un giorno” ricostruendo un rapporto positivo con la Russia. D’altra parte, gli anni della sua (prima?) amministrazione non sono stati caratterizzati da relazioni particolarmente cordiali con Mosca. Indicativo è, per esempio, lo stallo intorno al rinnovo del trattato New START, sbloccato solo con l’insediamento dell’amministrazione Biden. Un ruolo centrale, in questo campo, avranno anche gli equilibri che emergeranno in Congresso dopo il voto del 2024. Per esempio, nonostante le dichiarazioni pre-voto, l’attuale maggioranza repubblicana alla Camera dei rappresentanti non sembra, sinora, essersi allontanata molto dalle politiche di quella democratica che l’ha preceduta; né i Congressi del 2017-21 si sono dimostrati granché favorevoli a sostenere le aperture del presidente alle autorità di Mosca.
Lo speaker della Camera McCarthy - da sempre strenuo difensore di Donald Trump - parla di “Scandaloso abuso di potere da parte di un radicale ufficio del procuratore che lascia liberi criminali violenti e persegue invece una vendetta politica contro Donald Trump”. Il partito Repubblicano è spaccato, con Ron DeSantis che sarebbe costretto a firmare l’estradizione dell’ex presidente dalla Florida a New York. Quali dunque le conseguenze per la tenuta democratica del paese? E quale per la tenuta elettorale del partito Repubblicano?
Le dichiarazioni di Kevin McCarthy (echeggiate, fra gli altri, dall’ex vicepresidente Mike Pence e da altri membri dell’establishment repubblicano) sono largamente prevedibili ma riflettono solo in parte la posizione del partito. Le difficoltà che hanno accompagnato l’elezione dello stesso McCarthy a speaker della Camera sono un’indicazione di quanto sia divisa la rappresentanza repubblicana in Congresso. Fra l’altro, le ultime elezioni di midterm hanno penalizzato molto i candidati ‘trumpiani’, che pure, la scorsa estate, avevano vinto a mani basse le primarie di partito. Su questo sfondo, è facile prevedere come una possibile iniziativa della procura distrettuale di Manhattan finisca per dare nuovo alimento alle faide interne. Allo stesso modo è facile prevedere come essa finisca per offrire al Partito democratico ulteriori argomenti contro una nuova presidenza Trump. Più difficile è valutare le eventuali ricadute sugli esiti del voto. In termini di consenso, la ‘congiura del deep state’ contro un presidente ‘scomodo’ si è dimostrata, in passato, un argomento pagante per la propaganda trumpiana. Allo stesso modo, il fatto che l’ex presidente sia coinvolto in una mezza dozzina di cause civili e procedimenti penali non sembra avere intaccato seriamente la sua popolarità. Al di là di tutto, i sondaggi continuano concordemente a presentare Trump come il candidato preferito degli elettori repubblicani. Nemmeno Ron DeSantis (che, comunque, non ha ancora ufficializzato la sua candidatura) sembra oggi in grado di scalzare questa posizione. Per esempio, su un ipotetico spettro di dodici candidati, un recente sondaggio di Qunnipiac University fissa a quattrodici punti percentuali lo scarto fra l’ex presidente e il governatore delle Florida (46% vs 32%), e anche nel testa a testa lo scarto – pur riducendosi a ‘soli’ undici punti (51% vs 40%) – rimane comunque rilevante. Anche se, in questa fase, dati simili vanno sempre accettati con riserva, essi sono comunque indicativi di un differenziale di consenso a favore di Trump che esiste e, per ora, non sembra volersi ridurre.
Un’ultima domanda su Joe Biden. La crisi bancaria della SVB ha mostrato - agli occhi dell’opinione pubblica - tutte le criticità di un sistema che tutela i potenti a scapito dei piccoli risparmiatori; la tenuta sociale del paese è tenuta sotto scacco da una economia che stenta a decollare: rallenta la crescita, calano i sussidi di disoccupazione e l'inflazione è stata rivista al rialzo. In vista delle elezioni, come crede che il presidente democratico possa recuperare un elettorato spaccato e con sempre meno fiducia verso la presidenza?
Se si considerano le condizioni di partenza, i risultati conseguiti dall’amministrazione Biden in termini di crescita e riduzione della disoccupazione sono stati di tutto rispetto, soprattutto nel primo anno di mandato. In questa prospettiva, l’impennata dell’inflazione (che appare comunque in frenata dalla seconda metà del 2022, con un minimo del 6% anno su anno a febbraio) appare anzitutto il prodotto indesiderato della generosa politica di spesa pubblica voluta dalla Casa Bianca, i cui effetti negativi sono stati aggravati dalla risposta lenta della Federal Reserve. Il fatto che le ricadute maggiori si siano avute nei settori alimentare e dei carburanti ha contribuito a fare percepire il problema con maggiore intensità. Nello stesso senso ha agito il fatto che un’inflazione così alta non fosse stata registrata dall’inizio degli anni Ottanta. Tuttavia, più che l’infrazione in sé, quello che gli elettori sembrano imputare all’amministrazione è l’incapacità (percepita) a contenerne le ricadute sulla vita dei cittadini. In effetti, i risultati ottenuti nel campo delle politiche sociali (che erano uno dei cavalli di battaglia della piattaforma elettorale di Biden) non sono stati all’altezza delle promesse. Nell’iter congressuale, le ambizioni del Build Back Better Plan sono state molto diluite, anche a causa delle resistenze opposte da una parte della stessa rappresentanza democratica all’introduzione di provvedimenti considerati troppo gravosi. È un’ulteriore prova delle fratture che attraversano il partito e che potrebbero trovare il loro punto di caduta nelle elezioni del 2024. Se non altro, negli ultimi mesi, l’indice di popolarità del presidente sembra essersi stabilizzato, invertendo la tendenza discendente iniziata subito dopo l’insediamento e che aveva toccato il suo minimo nell’estate 2022. Oggi, la percentuale di elettori che valuta favorevolmente l’operato della Casa Bianca è significativamente inferiore rispetto al gennaio 2021. Di contro, la ripresa degli ultimi mesi sembra autorizzare qualche ottimismo, specie se l’indice dei prezzi al consumo dovesse proseguire il suo trend discendente.
* Studente del Corso di Laurea Magistrale in Politiche pubbliche