recensione

Perché l’Ucraina combatte

Perché l’Ucraina combatte

Condividi su:

 

Valerio Alfonso Bruno

 

Perché l’Ucraina combatte, scritto da Michele Chiaruzzi e Sofia Ventura e pubblicato nel maggio 2025 per i tipi di Linkiesta, rappresenta un contributo importante e tempestivo per la comprensione di un conflitto che continua a scuotere le fondamenta dell’Europa e del sistema internazionale tout court. Il volume si fonda su una tesi forte, secondo la quale il conflitto ucraino non può essere interpretato come una semplice guerra in Europa. Questa prospettiva rompe infatti con le narrazioni convenzionali, ponendo il conflitto non solo nel quadro di una guerra per l’indipendenza nazionale, bensì come uno snodo cruciale nella ridefinizione dello spazio politico e identitario del progetto europeo.

Gli autori muovono dalla premessa che questa guerra abbia posto fine ad un periodo nel quale l’Unione europea è stata caratterizzata dall’essere fondamentalmente uno spazio politico pacificato e stabile, inaugurando invece una fase di transizione contraddistinta dalla fine di un ordine internazionale consolidato e dall’incertezza relativa all’emergere di un nuovo assetto politico europeo. Tale lettura si rivela particolarmente efficace nel cogliere le implicazioni geopolitiche, culturali e comunicative del conflitto, offrendo un quadro articolato nel quale la dimensione militare convive con quella simbolica e mediatica, entrambe fondamentali per comprendere la complessità della crisi in corso. Il libro di Chiaruzzi e Ventura mette subito in chiaro come l’Ucraina combatta non solo per la propria sopravvivenza nazionale, quanto per un progetto di integrazione sovranazionale, assumendo così una valenza che trascende il semplice confine territoriale. In questo senso, non si tratta di una guerra “in Europa”, bensì di una guerra che è “dell’Europa”. La lotta ucraina assume allora la forma particolarissima di una rivendicazione di identità nazionale declinata come identità europea, ovvero come soggettività politica che si riconosce parte integrante di una più ampia soggettività politica continentale e di un progetto politico condiviso e ambizioso. Questo elemento rappresenta una novità storica di grande rilievo, poiché mai prima d’ora uno Stato europeo aveva difeso la propria sovranità militare avvalendosi di un sostegno così esplicito e multilivello da parte dell’Unione europea e di un insieme di Stati ad essa collegati da legami politici, strategici e culturali.

In tal senso, gli autori sottolineano come questo sostegno si manifesti non solo attraverso forme tradizionali di assistenza economica, diplomatica e militare, ma anche attraverso una cooperazione politica che assume una valenza altamente simbolica e politica: l’Ucraina lotta non solo per mantenere la propria sovranità statuale, ma anche per un’inclusione piena e definitiva nel progetto politico europeo, configurando così un modello di sovranità “condivisa” che si discosta nettamente dalla concezione classica di sovranità assoluta e autarchica tradizionalmente intesa negli Stati nazionali. Questa sovranità rinnovata è da intendersi come esercizio responsabile e solidale della propria autonomia all’interno di un contesto istituzionale sovranazionale, frutto di un nuovo equilibrio politico europeo.

Un elemento di particolare interesse e valore dell’opera è inoltre legato all’analisi approfondita della dimensione comunicativa e culturale della resistenza ucraina. Chiaruzzi e Ventura mostrano, con precisione e acume, come la lotta ucraina non si sia manifestata esclusivamente sul piano militare, ma anche attraverso un complesso sistema di pratiche comunicative e diplomatiche che costituiscono a tutti gli effetti un campo di battaglia simbolico. La narrazione ucraina si struttura come una resistenza contro la disinformazione e le false narrazioni diffuse dal regime di Putin, utilizzando strumenti di comunicazione che spaziano dalla comunicazione digitale e multimediale alla diplomazia culturale, fino all’arte contemporanea e alla memoria museale. Tale approccio integrato dimostra l’importanza crescente della “guerra dell’informazione” all’interno della guerra ibrida contemporanea e rappresenta un contributo significativo per comprendere le dinamiche politiche e culturali in gioco.

Per quanto riguarda la struttura del libro, esso si articola in tre capitoli, ognuno dei quali ricostruisce la genesi e lo sviluppo del conflitto con particolare attenzione alle strategie di comunicazione e alle forme di resistenza simbolica. Nel primo capitolo, intitolato “Da Euromaidan all’invasione russa del 24 febbraio 2022”, i due autori esplorano il ruolo della public diplomacy di Kiev e il dialogo con le opinioni pubbliche occidentali, approfondendo il soft power ucraino, oltre a illustrare la cosiddetta civic diplomacy e l’importanza della società civile ucraina come attore politico attivo e propositivo; Il secondo capitolo, “Dopo l’invasione: comunicare la guerra e la resistenza”, si concentra invece sul periodo successivo all’invasione russa, analizzando le molteplici dimensioni della comunicazione di guerra, il ruolo strategico del presidente Zelensky nel quadro della public digital diplomacy, e il funzionamento di iniziative istituzionali quali Ukraine.ua, United24 e l’Ukrainian Institute, che sono diventate vere e proprie piattaforme di mobilitazione e comunicazione internazionale. Infine, il terzo capitolo, “Arte, presente e memoria”, indaga il ruolo cruciale che l’arte ha assunto, ed assume, nel conflitto, sia nei territori liberati, sia nelle evocative narrazioni en plein air e nelle esposizioni museali proposte da Kiev, offrendo una riflessione originale sul potere evocativo, identitario e terapeutico dell’arte in tempi di guerra.

Il libro presenta un’analisi rigorosa della strategia russa, intesa come espressione di una volontà neo-imperiale finalizzata a ristabilire una propria centralità geopolitica attraverso l’affermazione coercitiva della propria sfera d’influenza. Tale visione neo-imperiale, fondata sulla revisione dell’ordine internazionale post-bipolare, si è tuttavia scontrata con una resistenza ucraina tanto imprevista quanto strutturata, fondata su un ethos collettivo di autodeterminazione e su un’inedita capacità di mobilitazione multilivello. Quest’ultima, lungi dall’essere circoscritta al dominio strettamente militare, come abbiamo modo di vedere precedentemente, si è articolata su piani simbolici, culturali e comunicativi, delineando una forma di resistenza integrale capace di mobilitare narrazioni condivise e di interpellare l’immaginario politico-morale delle opinioni pubbliche e delle diplomazie occidentali. In tale contesto, la produzione di discorsi contro-egemonici – promossa da attori istituzionali, società civile e istituzioni culturali – ha assunto forme espressive molteplici e tecnologicamente complesse (digitali, artistiche, museali, transmediali), contribuendo a configurare una grammatica discorsiva della sovranità e della libertà, contrapposta alla retorica manipolatoria e disinformativa veicolata dal regime putiniano.

Tale processo acquista un rilievo ancor più significativo se collocato nell’attuale congiuntura geopolitica globale, segnata da un mutamento degli equilibri all’interno della principale potenza occidentale e dall’ordine da essa guidata. A partire dal 2025, con il (re)insediamento alla Casa Bianca di un presidente che, come reso evidente in occasione della visita del presidente Zelensky a Washington D.C. nel febbraio dello stesso anno, ha manifestato atteggiamenti ambigui, se non apertamente ostili, nei confronti della causa ucraina, la capacità comunicativa e simbolica di Kiev assume un ruolo strategico ancor più decisivo. In un contesto di crescente erosione del consenso internazionale e di ridefinizione degli assi politico-diplomatici globali, la resistenza ucraina non si esaurisce nella dimensione della difesa armata, ma si configura come un dispositivo di diplomazia culturale e comunicazione strategica volto a riaffermare, sul piano globale, la legittimità della propria aspirazione all’integrazione euro-atlantica e alla fuoriuscita definitiva dalla sfera d’influenza post-sovietica.

In conclusione, Perché l’Ucraina combatte si configura come un’opera di grande attualità e con una tesi molto forte, capace di fornire strumenti interpretativi essenziali per comprendere un conflitto che coinvolge non solo l’Ucraina e la Russia, ma l’intero assetto geopolitico europeo e globale. Attraverso un approccio che coniuga analisi politica, comunicazione e cultura, Chiaruzzi e Ventura riescono ad offrire al lettore una lettura complessa e sfaccettata della guerra, evidenziandone le molteplici dimensioni e implicazioni e sottolineando come le dimensioni simbolica e mediatica siano ad oggi, all’interno del paradigma della guerra ibrida che caratterizza questa fase della modernità, altrettanto cruciali di quella militare nella definizione degli esiti politici futuri, in primis per le democrazie.

 

Valerio Alfonso Bruno è Assegnista di ricerca presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.

 

Foto di Žilvinas Ka su Unsplash

 

Data

Condividi su:

Newsletter

Iscriviti alla newsletter