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Oppenheimer. Il «Prometeo americano» diventato «distruttore di mondi»

Oppenheimer. Il «Prometeo americano» diventato «distruttore di mondi»

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di Luca G. Castellin

 

«Credo abbia funzionato». Queste sono le prime parole che Julius Robert Oppenheimer rivolge al fratello minore Frank, commentando con soddisfazione il successo del Trinity Test. Sono da poco trascorse le cinque e mezza del mattino del 16 luglio 1945. Il deserto di Jornada del Muerto in New Mexico è appena stato illuminato da una gigantesca esplosione di luce, percorso da un forte rimbombo e infine scosso da un lungo tremore.

Lo scienziato americano ha assistito alla prima detonazione di un’arma nucleare insieme agli altri membri del Manhattan Project, il programma di ricerca dell’esercito degli Stati Uniti per la costruzione della bomba atomica, che accoglie alcuni dei fisici teorici e sperimentali più importanti dell’epoca presso un laboratorio segreto nella sperduta località di Los Alamos. Un avvenimento destinato a modificare definitivamente non solo la Seconda guerra mondiale, ma anche la storia dell’umanità.

Oppenheimer, il nuovo film di Christopher Nolan, tratto dall’opera di Kai Bird e Martin J. Sherwin, ricostruisce la vita del «padre» della bomba atomica. Alternando scene a colori, in cui viene proposto il punto di vista soggettivo del protagonista, e scene in bianco e nero, dove si presenta una narrazione oggettiva, il regista britannico mostra i dilemmi e le contraddizioni dell’enigmatica figura dello scienziato americano (interpretato da un formidabile Cillian Murphy).

Non è pertanto la storia della nascita del primo ordigno nucleare, bensì un vero e proprio studio psicologico che disseziona come un prisma la complessa personalità di Oppenheimer. Vengono ripercorsi gli anni della formazione universitaria in Europa, prima a Cambridge e poi Göttingen, l’attività di insegnamento e ricerca presso il Caltech di Pasadena e l’Università della California – Berkeley, l’impegno politico e le simpatie comuniste (che enormi problemi creano allo studioso quando finisce nel mirino del senatore McCarthy), l’arrivo alla direzione dell’Institute for Advanced Studies di Princeton per iniziativa di Lewis L. Strauss (il principale villain della sceneggiatura, interpretato da un eccezionale Robert Downing Jr.).

Ma al centro della pellicola sono l’ascesa e la caduta di Oppenheimer, dal momento in cui, nel 1942, viene scelto come responsabile scientifico del Manhattan Project dal Generale Leslie Richard Groves, fino alla revoca del security clearance nel 1954 che di fatto lo estromette dai processi decisionali in materia di sicurezza nazionale americana (non solo per la sua giovanile vicinanza al comunismo, ma anche per la sua opposizione allo sviluppo della bomba all’idrogeno costruita poi da Edward Teller).

La parabola umana dello scienziato americano mette in risalto due aspetti cruciali. Da un lato, il dilemma etico della scelta personale e l’ambiguità morale della natura umana. Dall’altro, il problematico rapporto tra scienza e potere. La figura tragica di Oppenheimer incarna perfettamente entrambi, offrendo ancora oggi una lezione che si pone a cavallo tra un angoscioso avvertimento e una responsabile speranza.

 

Il (novello) «Prometeo americano»

Molto probabilmente, l’antico mito greco di Prometeo non avrebbe potuto trovare luogo o tempo migliori per reincarnarsi che nella società americana fra la Seconda guerra mondiale e la Guerra fredda. E l’immagine di (novello) Prometeo, e in particolare di Prometeo americano, come recita il titolo originale del testo di Bird e Sherwin, non avrebbe potuto essere attribuita che a Oppenheimer. Come il titano immortale sottrae il fuoco agli dèi per donarlo agli esseri umani, così il fisico teorico – coordinando un complesso lavoro di squadra – consegna agli Stati Uniti il primo ordigno nucleare. In altri termini, egli contribuisce in maniera fondamentale all’ascesa del suo Paese verso il primato scientifico (e militare) in campo internazionale. Ma deve altresì fare i conti con la caduta e la crisi non solo dei valori liberali e democratici, ma anche della propria esistenza individuale e del ruolo pubblico dello scienziato.

Come mostra Nolan, Oppenheimer – almeno inizialmente – è frenato da non poche preoccupazioni morali rispetto al progetto Manhattan. Tuttavia, questo personale dilemma viene spazzato via dall’incubo – per lui ancora più spaventoso, a causa delle sue origini ebraiche – che la Germania nazista possa vincere la competizione con l’America e costruire per prima l’arma atomica. Il progetto tedesco, guidato da Werner Heisenberg, gode infatti di un vantaggio considerevole. Abbandonata pertanto quasi ogni reticenza, il gruppo di lavoro guidato da Oppenheimer viene trascinato dal ritmo frenetico degli eventi storici.

Ma, già nel 1943, è ormai evidente che il programma nucleare tedesco abbia imboccato una strada sbagliata e sia destinato a fallire. Eppure ciò non ferma il lavoro di Oppenheimer. Il fisico ‘riluttante’ si è ormai convertito all’arma atomica. Seppur non manchino momenti di smarrimento, una personalità ambigua e scostante come quella di Oppenheimer continua a guidare il gruppo di ricerca che costruisce l’ordigno destinato a colpire il Giappone (uno Stato che non stava sviluppando alcun programma nucleare). Così, dopo la capitolazione di Hitler, egli assiste al lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, convinto che avrebbe posto fine alla guerra nel Pacifico e (ingenuamente) cancellato per sempre la tentazione della guerra.

Per molti versi, Oppenheimer crede che la scienza possa influenzare il potere, senza però comprendere come sia vero esattamente il contrario. Durante il leggendario colloquio all’interno dello Studio Ovale con Harry S. Truman, egli sembra quasi cercare l’assoluzione del Presidente, borbottando di sentirsi «le mani sporche di sangue». Tuttavia, in maniera piuttosto stizzita, Truman lo interrompe subito, assumendosi immediatamente la piena responsabilità di quella decisione politica. All’epoca, infatti, come mostra efficacemente Nolan, la bomba atomica è decisamente vista come una conquista più che come un incubo.

Seguendo il destino dell’immortale che osò sfidare Zeus, Oppenheimer è così condannato al ruolo della «vittima sacrificale». All’interno della Atomic Energy Commission, sotto i colpi del comitato che lo giudica in un clima da resa dei conti finale (imbastita da Strauss e certamente non osteggiata dall’amministrazione Eisenhower), lo scienziato americano non solo subisce la revoca del security clearance, ma assiste inerme alla propria umiliazione umana e professionale.

 

Il «distruttore di mondi»

Il periodo successivo alla fine della Seconda guerra mondiale rappresenta il momento di maggiore tensione emotiva per Oppenheimer, che è attanagliato da enormi dilemmi etici, a causa delle conseguenze inimmaginate del suo impegno all’interno del Manhattan Project. In tutti gli interventi pubblici, pur cercando di non rinnegare il percorso compiuto a Los Alamos, egli si strugge nel disperato tentativo di salvare il mondo dall’abisso che lui stesso aveva contribuito a spalancare durante il test dell’arma atomica. È il momento in cui da scienziato insider (impegnato a parlare al potere e indirizzare la politica) si trasforma in intellettuale outsider (attento a sviluppare la coscienza degli esseri umani e a costruire le basi del mondo che verrà).

Seguendo le posizioni assunte da Niels Bohr, il padre della meccanica quantistica, il fisico statunitense si batte per creare un organo internazionale di controllo sulla proliferazione delle armi atomiche. Il 16 maggio del 1946, per esempio, durante un discorso tenuto a Pittsburgh, Oppenheimer si esprime a favore di una «Autorità internazionale per lo sviluppo atomico», alla quale «affidare la ricerca, lo sviluppo e lo sfruttamento delle applicazioni pacifiche dell’energia atomica; l’eliminazione delle armi atomiche dagli arsenali di tutte le nazioni; gli studi, le analisi e i controlli necessari al raggiungimento dello scopo».

Le intenzioni ideali di Oppenheimer, seppur nobili, si scontrano però con la dura realtà della politica internazionale. Gli Stati Uniti, infatti, destinati a perdere il primato nucleare già nel 1949, quando l’Unione sovietica sviluppa – anche grazie alle rivelazioni di un ex membro del progetto Manhattan – il proprio potenziale atomico, sono ormai rivolti all’attuazione della celebre strategia del containment, teorizzata dal diplomatico americano George F. Kennan (figura fondamentale per la Guerra fredda e la vita di Oppenheimer, ma incredibilmente assente nel film di Nolan).

In tale prospettiva, può essere allora interpretata la convinzione dello scienziato americano di essere diventato un «distruttore di mondi». Attraverso i versi contenuti nel Bhagavadgītā, Oppenheimer evidenzia tutta la propria sofferenza morale verso la corsa al riarmo e la mutua distruzione nucleare fra le due superpotenze. Una competizione di cui si sente se non responsabile, quantomeno complice. «Adesso», afferma Vishnu nel testo sacro dell’Induismo, di cui il fisico statunitense era appassionato conoscitore, «sono diventato Morte, il distruttore di mondi». Costruendo la bomba atomica, Oppenheimer diventa il (novello) Prometeo americano, che consegna agli esseri umani un potere inimmaginabile, finendo così per diventare – almeno potenzialmente – in maniera tragica un «distruttore di mondi».

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