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Olanda: vince l'ultradestra, ma il pericolo è un altro

Olanda: vince l'ultradestra, ma il pericolo è un altro

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di Valerio Alfonso Bruno

 

Il PVV di Geert Wilders, per la prima volta, primo partito olandese

Alle recenti elezioni generali nei Paesi Bassi, il partito di estrema destra Partij voor de Vrijheid (PVV, “il Partito per la Libertà”) guidato dall’istrionico Geert Wilders, ha conquistato ben 37 dei 150 seggi presso la Camera bassa del Parlamento, ottenendo così il 25% dei voti, più del doppio rispetto alle elezioni del 2021, quando ottenne l’11%. Il PVV raggiunge in tal modo circa la metà dei 76 necessari per formare una maggioranza. La vittoria arriva dopo che il Primo Ministro Mark Rutte, a capo del paese “frugale” per ben tredici anni, aveva annunciato, sorprendendo tutti, l’intenzione di dare le dimissioni e ritirarsi dalla politica. Al secondo posto si piazza la colazione di sinistra, composta dal Partito Laburista (PvdA ) e la Sinistra Verde (GL), guidata dall’ex commissario europeo per il clima Timmermans. Il partito di Rutte (Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia, VVD) si piazza terzo, uscendo dalle elezioni fortemente ridimensionato (11% complessivo), dimezzando i voti rispetto alla precedente elezione.

Il dato storico di questa elezione risiede nel fatto che, per la prima volta, il partito estremista guidato da Wilders, risulta essere effettivamente il più votato tra tutti i partiti olandesi. La prima volta per un soggetto politico che possiamo definire non appartenente alla tipologia dei partiti established o mainstream.

 

Vittoria storica, ma la formazione del governa è incerta

Incassata l’ottima performance alle urne, il politico nato a Venlo nel 1963, noto per le sue posizioni fortemente antislamiste e anti-immigrazione, ha dichiarato che il PVV non potrà più essere ignorato. Se non è scontato che Wilders sia in grado di ottenere un sostegno sufficiente per formare una coalizione in grado di governare i Paesi Bassi, non è nemmeno chiaro se gli altri partiti olandesi riusciranno a escludere il PVV, come hanno fatto nei precedenti appuntamenti elettorali, quando il partito far-right è arrivato secondo o terzo. Nel caso Wilders non riuscisse a formare una coalizione, altri partiti potrebbero tentare l’impresa di formare una coalizione assieme, tuttavia, almeno per il momento, l’ipotesi di un’alleanza a sinistra appare remota, poiché un governo dal sostegno così fragile avrebbe serie difficoltà nel mettere mano ai dossier complessi che attanagliano i Paesi Bassi, quali quelli relativi all'immigrazione, agli alloggi o al costo della vita.

Il Guardian ha riportato che in area centro-destra, almeno per il momento, vi siano poche possibilità di sostegno ad un esecutivo guidato da Wilders. In modo particolare se Dilan Yeşilgöz-Zegerius, segretaria del Volkspartij voor Vrijheid en Democratie (VVD, “Il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia”), ha seccamente dichiarato che non farà parte di un governo sotto un uomo che considera divisivo, Pieter Omtzigt, a capo del partito Nieuw Sociaal Contract (NSC, “Nuovo Contratto Sociale”) è sembrato lasciare qualche spiraglio a Wilder. Infatti, dopo una campagna elettorale nella quale Omtzigt ha escluso la possibilità di collaborare con Wilders, a causa del suo estremismo, in modo particolare per la veemenza islamofobica, la sera delle elezioni è parso ben più cauto nei confronti di un possibile esecutivo con Wilders.

 

Destra radicale ed estrema destra: il nuovo mainstream politico

Al di là delle importanti vittorie elettorali dell’estrema destra, quali quelle di Geert Wilders nei Paesi Bassi o di Javier Milei in Argentina, solo per menzionare le più recenti, il dato politico sul quale converrebbe soffermarsi a riflettere con attenzione è un altro. Questi soggetti politici caratterizzano il panorama politico da tempo: le vittorie elettorali o le buone performance ai seggi dell’“ultradestra” si alternano ormai da decenni a performance meno buone. Le affermazioni elettorali dei partiti dell’estrema destra e della destra populista radicale non rappresentano più una “novità”, né ci sorprendo più di tanto. Semmai, l’elemento di novità risiede nella compiuta convergenza tra quelle che potremmo definire “mainstream politics” e “far-right politics”, ovvero la politica tradizionalmente moderata ed istituzionale con quella radicale ed estrema. In questo senso il termine inglese far right (reso spesso in italiano con “ultradestra”), che sussume in sé gli elementi radicali ed illiberali della destra populista con i tratti violenti ed anti-democratici dell’estrema destra, è ormai utilizzato per descrivere partiti ed esperienze politiche non solo ampiamente “tollerate” da parte delle nostre democrazie liberali, bensì a queste centrali.

 

Sugli “anticorpi” delle democrazie liberali vis-à-vis gli estremismi

È buona norma distinguere tra le narrazioni pubbliche e le politiche. Tuttavia è altresì necessario riconoscere che la politica "istituzionale" e quella “urlata” dei comizi e degli slogan nelle piazze, fisiche o digitali, sono sempre più connesse. Certi discorsi sono diventato de facto egemonici, rappresentando la norma. Il processo di "sovrapposizione" tra soggetti politici un tempo distanti ha consentito ad elementi ideologici dell'estremismo di destra, dalle teorie cospirazioniste al suprematismo bianco e al nativismo, di transitare, fino ad essere pienamente integrati, nella politica mainstream e nei suoi discorsi. Si pensi alla grande famiglia dei partiti conservatori che, con poche eccezioni, sembra essere stata completamente assorbita, a livello internazionale, dalla controparte populista di destra radicale.

In conclusione, concentrare l'analisi politica sulla performance elettorale dell’ultradestra, come spesso si fa, non è sufficiente. È invece fondamentale aggiungere la consapevolezza che al di là dei risultati alle urne, di volta in volta più o meno positivi, il dato politico riguarda la trasformazione, dall'interno, di un sistema politico. A tal proposito, negli ultimi tempi si è spesse volte parlato delle democrazie liberali come di forme di governo dotate di “anticorpi” adeguati a fronteggiare possibili arretramenti o regressioni democratiche (democratic backsliding). Facendo seguito alla metafora degli anticorpi, varrebbe anche la pena chiedersi se le attuali democrazie liberali siano in primis in grado di riconoscere, come patogeni ed estranei, i tratti sempre più normalizzati dell’estremismo di destra.

 

 

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