Beatrice Nicolini
Il massacro avvenuto a metà giugno 2025 nello stato di Benue, in Nigeria centrale, è una tragedia tra le più spaventose che questa terra africana abbia conosciuto negli ultimi anni. Più di duecento persone, uomini, donne, bambini, intere famiglie cristiane che avevano già perso tutto a causa dei continui conflitti e sfollamenti, sono state massacrate con una violenza cieca e sistematica nel villaggio di Yelwata, nella contea di Guma.
I sopravvissuti parlano di un attacco organizzato da decine di uomini armati, presumibilmente miliziani appartenenti a gruppi di pastori Fulani, che hanno circondato l’area durante la notte, aprendo il fuoco su chiunque si trovasse nel villaggio. Dal 2009 i pastori musulmani Fulani spinti dalla desertificazione climatica hanno ucciso tra le tredicimila e diciannovemila persone innocenti soprattutto tra i cristiani della "Middle Belt".
Le case sono state incendiate con dentro le famiglie, i corpi sono stati ritrovati bruciati fino a renderli irriconoscibili. Bambini piccoli, donne anziane, uomini disarmati: nessuno è stato risparmiato. Il villaggio di Yelwata ospitava da mesi centinaia di sfollati interni, quasi tutti cristiani, scappati da precedenti violenze. Credevano di aver trovato un rifugio, una tregua. Invece sono stati colti nel sonno da una ferocia che ricorda quella dei pogrom, delle pulizie etniche che la comunità internazionale non ha mai voluto riconoscere.
Questo non è un fatto isolato. È parte di una strategia più ampia, sistematica, che negli ultimi dieci anni ha visto la progressiva eliminazione di comunità cristiane rurali nel "Middle Belt" della Nigeria. I campi vengono distrutti, i luoghi di culto bruciati, le famiglie sterminate. Lo stato nigeriano non sembra reagire. Le forze di sicurezza arrivano sempre dopo. Le promesse presidenziali si susseguono, ma la verità è che i cristiani nigeriani delle zone rurali vivono ormai in uno stato di terrore costante, abbandonati.
Una testimonianza doverosamente anonima afferma: "Da oltre venticinque anni studio e vivo questa realtà. So cosa significa camminare tra villaggi che una volta erano pieni di vita e ora sono ridotti a cenere e silenzio. Ho parlato con madri che hanno dovuto seppellire figli carbonizzati. Ho visto gli occhi di bambini che non conoscono la pace, che associano il buio della notte al rumore degli spari e al pianto delle madri. Questo massacro non è solo un crimine contro l’umanità.
È l’ennesima ferita inferta alla dignità di un popolo che continua a resistere. Ma per quanto ancora? Se la comunità internazionale, se le autorità religiose, se lo stato stesso non riconosceranno con onestà che quello in corso è un lento genocidio religioso, allora non resteranno che le ceneri. Non possiamo, e non dobbiamo, più parlare di conflitto tra pastori e agricoltori, non possiamo più minimizzare con obsolete formule post coloniali dalle motivazioni etniche o socio-economiche.
Qui si sta estinguendo una civiltà cristiana millenaria, giorno dopo giorno, corpo dopo corpo, villaggio dopo villaggio." Il dolore di Yelwata è il dolore di tutta la Nigeria. È un urlo che attraversa le chiese vuote, le scuole distrutte, i campi bruciati. É la memoria di chi non potrà più raccontare e la responsabilità di chi, forse, oggi può ancora scegliere da che parte stare.
Beatrice Nicolini è professoressa ordinaria di Storia dell'Africa. Insegna Storia e istituzioni dell'Africa; Religioni, conflitti e schiavitù e Mondo dell'Oceano Indiano all'Università Cattolica del Sacro Cuore.
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