di Benedetta Cominelli, Emma Galeazzi, Elena Rosa, e Ludovica Strippoli *
«La prostituzione e la maternità surrogata sono forme di libertà viziate dal sistema capitalistico». È questo il nucleo delle riflessioni di Valentina Pazé, professoressa associata di Filosofia politica all’Università di Torino, che lunedì 6 novembre, nella Cripta dell’Aula Magna dell’Università Cattolica, ha presentato il suo libro, Libertà in vendita. Il corpo fra scelta e mercato (Bollati Boringhieri), insieme al Direttore di Polidemos, Damiano Palano, e Alessio Musio, Professore ordinario di Filosofia morale dell’Università Cattolica.
Il libro – come sottolinea Palano – è un’occasione per riflettere sul concetto di libertà. Nel suo volume, Pazé si domanda infatti se poter decidere di vendere una parte di se stessi sul mercato sia indice di libertà. In particolare, l’autrice enuclea tre questioni, il cui trait d’union è il coinvolgimento del corpo delle donne: la maternità surrogata, la prostituzione e l’uso del velo all’interno dell’islam. Rispetto a questi casi, occorre capire se si possa rintracciare una piena libertà dei soggetti o se la loro autonomia sia minata da condizionamenti esterni che ne circoscrivono il campo d’azione.
«Siamo imbevuti», osserva Musio, «di una cultura che immagina il soggetto umano come imprenditore di sé, chiamato a vendere le sue risorse materiali e corporee». Pertanto, aggiunge, la maternità surrogata diventa un «bio-business», perché in essa il Leib, il ‘corpo proprio’, viene inteso come ‘proprio corpo’, dunque come una proprietà dalla quale è possibile trarre anche un profitto monetario, dimenticando che il corpo non è qualcosa che si ha, ma che prima di tutto si è, si esiste, in una coincidenza radicale.
La maternità surrogata, continua Musio, implica qualcosa che non è mai avvenuto nella storia: la scissione del materno in più figure femminili; la madre genetica, da cui deriva l’ovulo, la madre gestazionale, quella in cui avviene la gestazione e il parto, e la madre sociale. Questo è il frutto della commistione fra tecnologie e carnalità/corporeità, che ha come implicazione negativa ritenere irrilevante e sostituibile il rapporto carnale madre-figlio (e certamente non sono una tabula rasa i figli che già sono nati da una madre surrogata “che assistono alla sparizione dopo il parto del loro fratellino o sorellina chiedendosi se un destino analogo di sparizione non sarebbe potuto accadere anche a loro”).
Pazé ribadisce come la maternità surrogata è una pratica sociale, non individuale, dal momento che vede il coinvolgimento di diversi attori. Nella maternità surrogata, infatti, non ci sono solo i due contraenti, ma anche una terza parte, cioè il figlio, che è anche l’oggetto stesso del contratto. Per questo motivo, ogni contratto di maternità surrogata è, di fatto, un contratto di compravendita del figlio. Il legame che intercorre tra gli attori è disciplinato da un contratto. Ed è proprio il contrattualismo a configurarsi quale discrimine tra la sussistenza della libertà e la sua assenza, perché – sottolinea l’autrice – «non c’è libertà quando si instaura un contratto che pone limitazioni e condizioni cui sottostare».
Bisogna fare un’ulteriore precisazione: quella della gestazione per altri è una pratica tutt’altro che altruistica e orientata al dono, come sostenuto da molti. Nel dono è sottesa una logica di libertà non ravvisabile nella maternità surrogata, la quale, al contrario, trova il suo fondamento nella necessità economica. «Quando consegno un dono», spiega Pazé, «io mi aspetto un contro-dono, che comunque non è obbligatorio. Ciò che stona rispetto alle retoriche del dono è il fatto che nella gestazione per altri, c’è un contratto che obbliga la donna, oltre che a sottostare a norme sanitarie e comportamentali, a consegnare il ‘dono’, cioè il nascituro».
Per questo motivo, le donne in condizioni economiche precarie sono più inclini, rispetto ad altre, a fornire questo servizio. E in futuro, in virtù delle diseguaglianze crescenti nella nostra società, è probabile che un numero sempre più elevato di donne faccia della gestazione per altri il proprio mestiere. Il che, però, confliggerebbe con il senso stesso della libertà, dal momento che «la libertà –chiosa Pazé – non vuol dire nulla se molti possono scegliere tra diverse opzioni e altri non hanno niente».
Il monito e l’auspicio dell’autrice è quello che il corpo umano rimanga fuori dalle logiche di mercato. Il desiderio di maternità e di genitorialità è legittimo, ma bisogna chiedersi fin dove questo possa spingersi nella pretesa di diventare un diritto, per mezzo del corpo di terzi. Ridurre il proprio corpo a merce non è indice di libertà, bensì di asservimento ai meccanismi neoliberisti che rendono talvolta alcune scelte – come nel caso della gestazione per altri e della prostituzione – obbligate.
* Studentesse del Polidemos Student Program 2023/24