di Francesco Morici
Il partito di maggioranza in Italia ha ottenuto il 36% dei voti alle elezioni politiche del settembre 2022. Ha però una sola caratteristica: non esiste. La percentuale, infatti, rappresenta i cosiddetti “astensionisti” ovvero tutti coloro che, pur godendo dei diritti politici, non si recano a votare. La particolarità della percentuale dell’astensione, a differenza di quelle dei partiti, è che corrisponde esattamente alla porzione di popolazione rappresentata. Se infatti nel computo dei risultati delle elezioni politiche del 2022 fossero stati aggiunti anche gli astensionisti, Fratelli d’Italia e Partito Democratico, il primo e il secondo partito in Italia, avrebbero avuto una percentuale rispettivamente pari al 14,34% (invece del 25,98%) e al 10,5% (invece del 19,04%). Paragonando i voti assoluti, il partito degli astensionisti ha ottenuto 18.325.683 “voti”, Fratelli d’Italia 7.301.303 voti e il PD 5.348.676 voti. Dal settembre 2022 ad oggi le occasioni per esprimere il voto sono state diverse. Il “partito degli astensionisti” ha guadagnato terreno ovunque, ad eccezione delle elezioni regionali in Sicilia in concomitanza con quelle politiche. Alle elezioni regionali 2023 gli astensionisti hanno ottenuto in Lombardia il 58,3% (+31,42% rispetto alle ultime elezioni), nel Lazio il 62,80% (+29,35%) e in Molise il 52% (+4,21%). Alle elezioni regionali 2024 hanno ottenuto in Abruzzo il 48% (+1%), in Basilicata il 50,2% (+3,70%), in Sardegna il 47,80% (+1,34%), in Piemonte il 47,70% (+8%), in Liguria il 54% (+7,45%), in Umbria il 47,7% (+12,40%) e in Emilia-Romagna il 53,6% (+21,2%) (https://elezioni.interno.gov.it/). Un lettore attento potrebbe obiettare che le elezioni locali non sono particolarmente sentite dalla cittadinanza come quelle politiche/europee oppure che la loro mancata unione con altri appuntamenti elettorali in una sorta di “Election Day” ridurrebbe l’astensionismo. Tuttavia, a questa osservazione si può rispondere con il risultato che il partito degli astensionisti ha ottenuto in Italia alle elezioni europee, nel maggio 2024, il 50,3%. È un dato che, vedendo la tendenza delle politiche del 2022, non dovrebbe sorprendere ma spinge ad una riflessione più ampia sul tema.
Ognuno di noi conosce almeno una persona che o non vota per scelta o non ha votato in alcune elezioni. Ma rimane un interrogativo: perché oggi in una democrazia, come quella italiana, la maggioranza relativa o assoluta dei cittadini decide che non è più fondamentale esprimere il proprio voto? Negli ultimi 78 anni ci sono state solo due eccezioni rispetto al trend negativo dell’affluenza: tra le elezioni politiche del 1948 e quelle del 1953 l’affluenza è aumentata, seppure di poco, dal 92% al 93%, mentre tra quelle del 2001 e del 2006 è passata dall’81% all’83% (https://pagellapolitica.it/articoli/storia-affluenza-elezioni-italia). Le ragioni dell’astensionismo sono molteplici: ad esempio la delusione, la disaffezione politica, indifferenza o l’impossibilità del voto fuorisede. Tali spiegazioni, tuttavia, corrono a volte il rischio di avallare giudizi moralistici che ostacolano un’analisi sul fenomeno dell’astensionismo. Ignorare gli astensionisti o criticarli con l’appellativo di “ignavi”, rubandolo a Dante, non ottiene altro risultato che evitare di affrontare il problema. È pur vero che il poeta fiorentino inserì gli ignavi (“coloro che visser sanza ’nfamia e sanza lodo” Inf. III, vv. 31-36) nell’Antinferno perché avevano commesso il peccato di aver vissuto una vita mediocre e di non essersi mai schierati, ma oggi nella patria di Dante queste persone hanno avuto o stanno avendo la loro “rivincita”. Le conseguenze di questa rivincita elettorale sono ben visibili: Sindaci, Presidenti di Regione e parlamentari vengono eletti da meno della metà dei cittadini. Una minoranza decide per tutti. Ad esempio, in Liguria l’attuale Presidente Marco Bucci è stato eletto con un vantaggio di solo 8000 voti. In Umbria l’attuale Presidente Stefania Proietti ha vinto con un margine di 18000 voti.
Ancora una volta un lettore scrupoloso potrebbe ribattere affermando che i dati sopra riportati riguardano elezioni locali ed europee, mentre l’ultima dato dell’affluenza alle politiche rimane ancora accettabile (64%). Ma cosa accadrebbe se alle prossime elezioni politiche il dato dell’affluenza dovesse calare sotto la soglia del 50%? Nella storia si sono verificati casi in cui la stragrande maggioranza della popolazione era esclusa per legge dal diritto al voto per motivi di censo, di sesso, o di etnìa, come accadeva nella democrazia ateniese o nell’Italia liberale.
Possiamo ancora parlare di democrazia se i cittadini che scelgono deliberatamente di non votare sono più della metà dell’elettorato? Sì, se si aggiunge però l’aggettivo “oligarchica”. Pochi eleggono i governanti, mentre “molti” decidono liberamente di astenersi dal farlo. Una “democrazia oligarchica” rischia di lasciare che siano platee di elettori d’appartenenza ad eleggere le cariche politiche. L’elettore d’appartenenza, in breve, è una persona che vota per appartenenza politica, per abitudine, per tradizione o per altri motivi. L’astensionismo infatti abbassa le probabilità che i cosiddetti “elettori d’opinione” incidano sull’esito delle elezioni. Spesso il peso del voto d’opinione ha favorito partiti nuovi o anti-sistema, come il Movimento 5 Stelle, che, senza una forte radicamento territoriale, riuscivano ad avere risultati notevoli a livello nazionale ed europeo. Spesso, quando il partito degli astensionisti cresce, i consensi delle altre formazioni politiche più radicate o rimangono stabili o subiscono semplici “travasi” di voti all’interno della stessa coalizione.
Il pericoloso esito che deriva dall’aumento del tasso di astensione è la crisi di legittimità della stessa democrazia. Può un parlamento essere votato da meno della metà dei cittadini? Sì, in base alla nostra Costituzione e alle nostre leggi. Ma se si esce da una prospettiva meramente giuridica, la risposta richiede una riflessione più articolata. La legittimità politica in una democrazia necessita di un sostanziale (e non solo formale) consenso da parte delle persone. L’astensionismo causa invece una sfiducia generale nei confronti della politica e dello Stato, soffocando lentamente la partecipazione agli affari pubblici. Tuttavia, il “non voto” può rappresentare una opportunità per ripensare la nostra democrazia e tentare di percorrere nuove strade: introdurre il voto per i fuorisede, il voto elettronico, il voto anticipato, accorpare gli appuntamenti elettorali, introdurre una legge sulla democrazia interna dei partiti o reintrodurre il meccanismo delle preferenze al candidato nelle elezioni politiche. Da questa sfida passa la capacità della democrazia contemporanea di saper ascoltare anche coloro che la rifiutano.
Francesco Morici è Laureato in Scienze politiche e sociali presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore