Editoriale

La democrazia del post

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di Damiano Palano

 

Le notizie degli ultimi giorni fanno assomigliare la mappa del mondo sempre di più a un campo di battaglia attraversato da una nuova divisione bipolare. Il ruolo di mediazione assunto nei rapporti fra Iran e Arabia Saudita mostra infatti una volta di più le ambizioni globali di Pechino. E l’annuncio di esercitazioni congiunte di Cina, Russia e Iran getta ulteriori ombre su un contesto internazionale già drammaticamente complicato dalla guerra in Ucraina. Tanto che diventa difficile sottrarsi alla sensazione che ci stiamo davvero muovendo verso una nuova contrapposizione tra due blocchi.

Il ritorno delle armi ha d’altronde cambiato il nostro modo di vedere il mondo. Secondo un sondaggio realizzato alcune settimane fa dallo European Council on Foreign Relations in quindici paesi (nove membri dell’Ue, Stati Uniti, Regno Unito, Cina, Russia e Turchia), nell’ultimo anno si sarebbe approfondita la divaricazione tra l’Occidente e il «resto» del mondo. Secondo questa rilevazione, nei paesi occidentali (compresa l’Italia) l’opinione prevalente è largamente favorevole all’Ucraina e considera l’aggressione russa come un attacco alla democrazia. Mosca viene inoltre vista da una notevole maggioranza come un «avversario» o comunque come un «rivale» verso cui stare in guardia. La guerra viene invece interpretata da gran parte dei cittadini europei come un attacco alla sicurezza dell’intero continente e l’opinione prevalente ritiene che il conflitto non debba concludersi senza la riconquista da parte dell’Ucraina dei territori perduti dopo il 24 febbraio 2022 (con la parziale eccezione dell’Italia, dove una quota significativa è a favore di una conclusione quanto più rapida possibile, anche a condizione di perdite territoriali per il governo di Kiev).

Nei paesi non occidentali la prospettiva tende a essere invece molto diversa. In Cina il 77% degli intervistati, in India il 79% e in Turchia il 73% percepiscono infatti Mosca come un alleato strategico o come un partner con cui stringere accordi. La riconquista dei territori ucraini non pare essere un obiettivo rilevante in vista di una rapida risoluzione del conflitto (il 42% in Cina, il 48% in Turchia, il 54% in India). Inoltre, si ritiene in prevalenza che l’obiettivo del sostegno alla causa ucraina da parte di Usa e Ue non sia la protezione del regime democratico di Kiev, né la salvaguardia dell’integrità territoriale, bensì la difesa dell’egemonia dell’Occidente (o comunque della sua sicurezza). Ed è peraltro significativo che molti cittadini dei paesi non occidentali esaminati percepiscano i rispettivi paesi come «democrazie reali» (il 77% dei cinesi e il 57% degli indiani) e siano invece scettici sull’effettivo profilo democratico dei sistemi politici occidentali.

Se gli ultimi dodici mesi hanno dunque per molti versi ricompattato l’Occidente, è legittimo chiedersi se le lenti con cui americani ed europei vedono oggi il mondo non rischino di risultare sfuocate, o addirittura distorcenti. Non tanto perché non siano giustificati i timori che inducono gli europei a ritenere prioritaria l’autonomia energetica e la riduzione della dipendenza dalla Russia. Quanto perché la rappresentazione di una nuova Guerra fredda e di un mondo diviso tra democrazie e autocrazie tende a semplificare troppo la mappa di un mondo che è già in larga parte non solo multipolare ma anche post-occidentale. Proprio a questo proposito, Ivan Krastev, Presidente del Center for Liberal Strategies, ha osservato che gli europei e gli americani continuano a interpretare le dinamiche globali con le categorie del passato, mentre il resto del pianeta vive in un mondo postcoloniale, nel quale l’idea della sovranità nazionale rimane centrale. E in cui si ritiene che l’egemonia dell’Occidente sia ormai indirizzata verso il declino.

Le necessità imposte dalla congiuntura bellica non possono che imporre schemi inevitabilmente riduttivi. Ma sarebbe semplicistico – oltre che politicamente pericoloso – attenderci dal mondo di domani uno scontro ideologico tra democrazie e autocrazie paragonabile a quello che abbiamo sperimentato nel «secolo breve». Non solo perché l’alleanza tra Mosca e Pechino non è così solida come ci può apparire in questi giorni, ma anche perché il «resto» del mondo, che tendiamo a vedere contrapposto all’Occidente, non ha riferimenti ideologici davvero comuni e perché le potenze emergenti guardano a modelli differenti. L’alleanza del «resto» (o anche un’alleanza delle autocrazie) è dunque tutt’altro che scontata, nonostante le notizie allarmanti di questi giorni. Gli equilibri di domani saranno invece l’esito anche della risposta che le democrazie occidentali sapranno dare alla sfida di un mondo meno democratico, in cui sarà molto probabilmente più difficile difendere e promuovere i valori costitutivi della democrazia liberale.

Ma proprio per questo, per progettare e costruire la «democrazia del post» – la democrazia di un mondo post-occidentale e post-coloniale – avremo bisogno di costruire mappe del mutamento in atto. Evitando di leggere la politica globale di oggi (e di domani) con le categorie ereditate dal Ventesimo secolo.

 

Questo articolo è apparso sul "Giornale di Brescia" il 17 marzo 2023.

 

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