Recensione

La democrazia dallo sguardo corto

La democrazia dallo sguardo corto

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di Antonio Campati

 

Jan Zielonka, Democrazia miope. Il tempo, lo spazio e la crisi della politica, Laterza, Roma-Bari 2023, pp. 226, 22,00 euro.

 

“La politica contemporanea mi fa pensare a una banda di ottoni bloccata nel traffico nel bel mezzo di una parata. I musicisti continuano a suonare mentre marciano sul posto, ma non possono più avanzare. Quando la musica si fa più vivace, i musicisti aumentano il ritmo dei loro passi, ma questi movimenti non li fanno spostare di un centimetro. I loro sforzi sono inutili. I volti dei musicisti rivelano un misto di ilarità e disperazione, mentre le loro belle uniformi si intridono di sudore. Ad ogni momento che passa, la situazione diventa più assurda” (pp. VII-VIII).

Attraverso questa immagine, Jan Zielonka descrive l’impotenza della politica odierna, ormai non più in sintonia con lo spazio e con il tempo. Tale disallineamento è, a suo dire, la causa delle crisi che interessano le democrazie ormai da diversi decenni. E soprattutto spiega molto dell’attuale incapacità di garantire un futuro alle nuove generazioni (e non solo).

Lo studioso di origini polacche sostiene che per tornare ad avere fiducia nel futuro è necessario “reinventare la democrazia e mettere in atto un nuovo sistema di governance globale” (p. 6). Dunque, non è sufficiente proporre cambiamenti minimali, né confidare nella selezione di una classe politica più preparata e lungimirante, ma occorre mettere in campo proposte radicali per reagire ai diversi segnali che indicano come le istituzioni democratiche siano ormai del tutto vulnerabili e impotenti davanti ai progressi tecnologici: non basta sostituire le persone, occorre riorganizzare la democrazia, oramai miope.

Un auspicio simile è stato avanzato da diversi pensatori nel corso degli anni, ma naturalmente i termini della questione variano in base al contesto all’interno del quale tale auspicio viene formulato. Venti o trent’anni fa indicava qualcosa di molto differente da quello che può indicare ai giorni nostri (specie dopo il 24 febbraio 2022): è molto difficile ipotizzare, oggi, la creazione di un sistema di governance globale capace di superare i sistemi democratici. Zielonka, infatti, evita di evocare una situazione del genere e sostiene che governance e democrazia devono lavorare in tandem, dal momento che la prima rappresenta l’output di un sistema politico, mentre la seconda ne costituisce l’input. Senza una governance forte, la democrazia è incapace di acquisire e mantenere un livello di controllo significativo sul tempo e sullo spazio. E, parimenti, senza una democrazia forte, la governance diventa uno strumento burocratico in mano ai funzionari (come succede in Cina) (p. 6).

Negli otto capitoli attraverso i quali si dipana il libro, le coordinate spazio-temporali vengono intrecciate e discusse in relazione alle più impellenti urgenze che interessano le democrazie. Per quanto riguarda il tempo, l’autore sottolinea come sia un potente strumento politico, perché la nostra vita dipende da esso e dai modi con cui viene regolato da chi governa (p. 25). E – con le parole di Robert Hassan – ricorda che la Rete costituisce una temporalità nuova e potente con la quale fare i conti in tutti gli ambiti della vita quotidiana (p. 27). Rispetto alla politica, il punto di partenza per qualsivoglia analisi sul tema deve partire dalla constatazione che il filo che per duecento anni ha tenuto insieme il capitalismo, il tempo dell’orologio e la democrazia liberale è stato spezzato dalla rivoluzione digitale (p. 75). La conseguenza più evidente è stata la nascita delle democrazie ad alta velocità che mettono in profonda crisi i sistemi di mediazione e compromesso che caratterizzavo le pratiche politiche fino a qualche decennio fa.

Una conseguenza – forse la principale – di un simile cambiamento riguarda la rappresentanza. Da questo punto di vista, le riflessioni di Zielonka sono davvero dirompenti, specie quando sostiene che non è il caso di idealizzare il sistema di responsabilità praticata negli Stati nazionali, perché “le elezioni rappresentano un mezzo assai rudimentale di controllo e i parlamenti sono ampiamente criticati per la loro incapacità di operare efficacemente in questo senso, soprattutto perché mancano di competenze e risorse adeguate” (p. 157). Il ripensamento della democrazia al quale si accennava in precedenza si esprime qui chiaramente.

Se le democrazie sono costrette a lavorare a una velocità temporale molto elevata, e dunque necessitano di una revisione dei suoi meccanismi di funzionamento, allo stesso modo anche per quanto riguarda la dimensione spaziale occorrono dei cambiamenti. Scrive Zielonka che: “quando il potere è concentrato esclusivamente nelle mani degli Stati sovrani che difendono le loro prerogative territoriali”, è difficile pensare a una “volontà politica globale” che guidi una Cosmopoli, ossia “una città globale multiculturale” abitata da persone che si rispettano e si impegnano a salvare il pianeta (p. 167). Qui la posizione di Zielonka è ancora più risolutiva perché la sua ricetta per governare meglio il tempo e lo spazio è quella di “abolire il monopolio esercitato dagli Stati sul processo politico” (p. 172). Ma chiarisce che non sta evocando il vecchio mito della democrazia cosmopolitica – rimasto tale perché sottovalutava l’importanza delle identità nazionali e prometteva di spostare le decisioni nel centro globale che è, per sua natura, ancora più lontano dalle persone comuni e dai loro problemi (p. 172). Bensì, propone di “dividere e distribuire il potere, a seconda del contesto e del tema in questione” (p. 172).

La Cosmopoli tratteggiata da Zielonka punta sostanzialmente a passare da un sistema governato dagli Stati a un sistema governato dalle reti, dove queste ultime non sono soltanto quelle dei computer, ma anche le reti urbane, finanziarie e sociali che già danno forma alla nostra vita quotidiana (p. 174). Dunque, non è prevista la scomparsa degli Stati, ma la fine del loro monopolio, a vantaggio di una condivisione del potere e delle risorse con altri attori pubblici, locali e transazionali tale da instaurare una governance più pluralistica e flessibile (p. 178).

È un libro ricco di suggestioni, che talvolta appaiono eccessivamente dissacranti rispetto ad alcuni cardini del sistema liberal-democratico. Per esempio, è senza dubbio importante favorire una disseminazione del potere, specie in un’epoca nella quale si avvertono segnali che vanno nella direzione opposta, ma, allo stesso tempo, è altrettanto fondamentale preservare quelle strutture tipiche dell’entità statuale poste a garanzia proprio del pluralismo delle opinioni e degli interessi, le quali, con una governance troppo frazionata, potrebbero perdere la loro efficacia. Ad ogni modo, il libro di Zielonka aiuta ad affrontare il perenne dibattito sulla crisi della democrazia con uno spirito critico utile a non cadere in riflessioni retoriche e prive della necessaria dose di vivacità intellettuale.

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