di Sara Settimio* e Francesco Morici**
«L’attuale politica colombiana si trova in un momento critico, il cui futuro dipenderà in gran parte da come vengono gestite le tensioni esistenti intorno alla coalizione di governo, alle elezioni locali e alla strategia di negoziazione con i settori legislativi». A seguito dell’incontro “From Uribe to Petro”, tenutosi il 29 marzo in Università Cattolica del Sacro Cuore, abbiamo rivolto alcune domande al professor Sebastián Ronderos per comprendere meglio i problemi, le dinamiche e i processi della politica in Colombia.
Il rapporto tra Gustavo Petro e Álvaro Uribe è uno dei grandi enigmi della politica colombiana. Infatti, dopo anni ad essere nemici dichiarati, si sono recentemente incontrati per discutere le riforme del Paese che Petro ha promesso. Quali sono i loro obiettivi e cosa cercano?
L’amministrazione Petro è stata un importante punto di svolta nelle relazioni diplomatiche della Colombia, non esclusivamente nella loro dimensione esterna – come si può vedere, ad esempio, nel ripristino delle relazioni colombiano-venezuelane – ma anche nelle loro dinamiche politico-istituzionali a livello domestico.
Le due decadi precedenti evidenziano una spietata opposizione tra il governo e l’opposizione, caricata da un linguaggio bellicoso e accompagnata da pratiche sistematiche di persecuzione istituzionale ad attori giornalistici, sociali e politici indesiderati agli occhi del governo al potere. In questo periodo, Gustavo Petro ha rappresentato la maggiore minaccia per l’establishment politico organizzato intorno alla figura di Álvaro Uribe Vélez dal 2003 in avanti, e come tale è stato attaccato e perseguitato.
Eletto presidente, Petro ha dato una svolta a questa tensione storica, delineando gli antagonismi inerenti alle coalizioni politiche esistenti con il fine di portare avanti un dialogo democratico tra diversi partiti. Dall’insediamento di Petro ad oggi, Uribe ha visitato il Palazzo di Nariño [casa del governo] più volte di quanto abbia fatto durante i due mandati consecutivi di Juan Manuel Santos, certamente dando una sfumatura insolita all’antagonismo quasi naturale tra Petro e Uribe.
Sebbene questa relazione sia presentata come enigmatica, da questa derivano importanti elementi che evidenziano una ricomposizione nella correlazione delle forze. Questi incontri rivelano un Uribe sconfitto politicamente, la cui importanza nello scenario nazionale è diventata incerta e la sua base sociale rimane smobilitata. Allo stesso modo, Uribe teme un eventuale processo giudiziale contro di lui per i diversi scandali che lo avvicinano al narcotraffico e al paramilitarismo – va notato che le recenti convocazioni per interrogare Trump, negli Stati Uniti, e Bolsonaro, in Brasile, aumentano la tensione sul futuro giudiziario di Álvaro Uribe Vélez.
Tuttavia, la sconfitta politica di Uribe non presuppone una immediata riorganizzazione ideologica della società colombiana e neanche una ricomposizione dell’élite politico-partitiche. Petro ha coscienza della rilevanza pubblica dei settori sociali con posizioni conservatrici. Allo stesso modo, l’attuale presidente comprende l’importanza territoriale dei proprietari terrieri regionali, la maggior parte dei quali è fedele a Uribe, e degli attori tradizionali che giocano ancora un ruolo importante nel processo legislativo. Sia per governare che per portare avanti le riforme strutturali, l’attuale governo richiede dei patti con settori verso i quali Uribe può rappresentare una convincente intermediario. Questo si evince dai dialoghi del leader progressista con figure fondamentali del latifondo regionale, come José Félix Lafaurie.
Il cambiamento nel rapporto Petro-Uribe significa, in breve, la fine dell’egemonia di Uribe e la vulnerabilità del patto petrista.
Gli inizi della riforma sociale in Colombia sembrano essere molto complessi, ci sono molte critiche. Cosa sta succedendo e come appare il futuro del Paese?
L’attuale politica colombiana si trova in un momento critico, il cui futuro dipenderà in gran parte da come vengono gestite le tensioni esistenti intorno alla coalizione di governo, alle elezioni locali e alla strategia di negoziazione con i settori legislativi.
Il nucleo dirigente del congresso, che chiamiamo blocco progressista, è costituito da 40 senatori su 108. In altre parole, è il settore legislativo più importante. Tuttavia, questo blocco non raggiunge la metà del numero dei senatori, di questi 40, ci sono anche voti che il governo non ha per alcune delle riforme che sta cercando di far approvare al Congresso. Pertanto, la negoziazione e l’accordo con i settori tradizionali come i partiti Liberali, Conservatore e U, saranno cruciali per attuare le riforme governative.
Inoltre, le elezioni amministrative del 29 ottobre si prospettano un evento cruciale che influenzerà il futuro delle riforme e della stessa coalizione legislativa di governo. Queste elezioni saranno decisive e agiteranno il panorama politico colombiano, ridefinendolo a partire dal 30 ottobre.
D’altra parte, la velocità e la mancanza di strategia con la quale il governo ha cercato di presentare le 35 riforme raggruppate in almeno cinque blocchi ha generato preoccupazioni riguardo alla priorità governative di queste, così come nella negoziazione delle stesse, soprattutto nelle riforme che generano polemica nei dibattiti legislativi come la riforma del lavoro e la riforma della sanità. La mancanza di una strategia coerente in termini di tempi e contenuto delle riforme proposte è stato un fattore determinante nel naufragio della riforma politica nelle ultime settimane.
In sintesi, il panorama politico colombiano si presenta come un’importante sfida, in cui il governo dovrà essere in grado di stabilire priorità e una solida strategia di negoziazione con i diversi settori legislativi, per poter attuare le riforme proposte.
Professor Ronderos, il suo studio intitolato “La Democrazia en Colombia; más allá de los lugares comunes” ha attirato la nostra attenzione. Quali sono secondo lei, i più noti “luoghi comuni” sulla democrazia colombiana e come possiamo superarli?
Dall’inizio degli anni ’70 ai primi anni 2000, le élite colombiane sono riuscite, con l’aiuto degli apparati criminali, statali e parastatali, a controllare le controversie politico-istituzionali. Allo stesso modo, e rafforzata da una estesa campagna mediatica, la narrativa anticomunista portata avanti dai settori dominanti ha conquistato importanti fette sociali urbane a partire dagli anni ’90. Insieme all’incondizionato appoggio di Washington, queste condizioni hanno permesso alle élite colombiane di mantenere un’apparenza democratica formale, facendo a meno degli attori militari nell’instaurazione di regimi apertamente autocratici – il che la distanzia da altre esperienze nella regione.
Tuttavia, questa apparenza democratica nasconde pratiche sistematiche di brogli elettorali, il più grande genocidio politico e sociale recente del continente e una delle crisi umanitarie più gravi del mondo che hanno trasformato la Colombia nella “Israele latinoamericana”. Tuttavia, i cosiddetti “luoghi comuni” sono oggi stati socialmente contestati e politicamente sconfitti.
Dalla firma degli accordi di pace tra il governo Santos e le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), la Colombia ha vissuto un’importante svolta politica verso una democrazia di maggiore intensità. Sono state poste sfide come la redistribuzione della ricchezza, in particolare della terra, il regolamento di conti per i responsabili di pratiche statali sistematiche di tortura e scomparsa di persone, la transizione da un modello estrattivo a un modello produttivo. Questi sono problemi che si presentano per superare i vecchi luoghi comuni e costruire una democrazia a partire dalle richieste sociali storicamente escluse.
Professore, la situazione sociopolitica dell’America Latina, in particolare della Colombia, è spesso ignorata in Italia. Eppure, in passato, la storia dell’America Latina e dell’Italia, direttamente o indirettamente, si sono intrecciate. Si pensi, ad esempio, al fenomeno dell’emigrazione verso i Paesi sudamericani. Alla luce di ciò, quali fonti di informazioni suggerirebbe al pubblico italiano?
Non si può comprendere appieno la storia dell’Europa senza la storia dell’America Latina, e viceversa, naturalmente. Le condizioni che hanno reso possibile il processo di modernizzazione europeo si trovano, in buona misura, nella colonizzazione delle Americhe. Dall’altra parte, la concentrazione di potere delle oligarchie creole nel consolidamento istituzionale latino-americano è stata causata dalle dinamiche coloniali. L’America latina, per riprendere le parole di Derrida, è un “altro costitutivo” dell'emergere dell’Europa occidentale e continua ad essere un punto di riferimento periferico le cui dinamiche politiche e sociali impattano e riorientano (allo stesso tempo) gli orizzonti di un modello di civiltà europea in crisi.
Dagli anni ’70 l’America latina è stata l’epicentro della sperimentazione neoliberale che, unita ad una prospettiva moderna di progresso, ha visto l’uguaglianza sociale indebolita dal predominio della libertà di mercato – una condizione che assomiglia sempre più al continente europeo. Non per niente il mondo accademico sta gradualmente segnalando una specie di “latino-americanizzazione” della problematica sociale (e politica) europea – nella progressiva perdita dei diritti, nell’austerità fiscale come necessità istituita e nell’irruzione di forze politiche il cui centro di contestazione è lo Stato. Le ondate di protesta sociale, che hanno fatto luce su questo nuovo ciclo politico, sono state quasi successive e le loro espressioni politiche si informano a livello interregionale in un gioco di specchi.
Come risposta ad una partecipazione limitata e alla rapida privatizzazione dei beni e servizi pubblici, è scoppiata alla fine degli anni ’90 nel territorio latino-americano una fragorosa protesta sociale. Tale scoppio è stato il preambolo per l’inizio della cosiddetta “marea rosa” in America latina, ma anche la premessa di quello che è accaduto nelle piazze europee dopo la crisi finanziaria del 2008. Queste proteste hanno segnato un momento inedito tanto per l’Europa quanto per l’America Latina, dando forma a nuove logiche di articolazione politica le cui espressioni, tanto a destra quanto a sinistra, non hanno smesso di rafforzarsi a vicenda – dalla Revolución Ciudadana in Ecuador e Podemos in Spagna, fino al bolsonarismo in Brasile e al discorso di Giorgia Meloni in Italia.
Non esiste una casualità diretta, ovviamente, ma piuttosto un intreccio di idee e pratiche politiche di reciproca costituzione che hanno alimentato e alimentano, tra l’Europa e l’America Latina, nuove organizzazioni politiche e nuovi orizzonti sociali e che diventano degli scambi intellettuali grazie ai diversi cicli migratori. L’Italia, in particolare, ha giocato una carta importante nello sviluppo del pensiero emancipatorio latino-americano. La teoria gramsciana, ad esempio, è stata uno stimolo teorico del marxismo indigeno in Bolivia e Perù, ma è stato anche il fenomeno intellettuale per l’ideazione di una teoria post-marxista dell’egemonia alla luce di fenomeni politici diversi come il peronismo in Argentina o il Chavismo in Venezuela. Potremmo citare anche le correnti autonomiste brasiliane, fortemente ispirate dai testi e dalle idee che arrivarono alle spiagge dei Tupinquin con l’arrivo dei migranti operaisti italiani.
In questo intreccio storico, intellettuale e organizzativo, si cela un potenziale analitico ricchissimo che ci offre spiegazioni alle attuali dinamiche economiche, politiche e sociali. Il dialogo tra America latina e Europa richiede uno sforzo esplicito di reciproco interesse, che ci permette una maggiore comprensione di una realtà complessa e che ci aiuta a delineare nuovi orizzonti democratici.
Il mio suggerimento, più che fonti di informazioni giornalistiche, sarebbe quello di addentrarsi con disciplina nello studio del pensiero latinoamericano, dove potremmo segnalare le opere di José Carols Mariàtegui, René Zavaleta Mercado, Ernesto Laclau, Álvaro García Linera, Enrique Dussel y Orlando Fals Broda, tra gli altri, per, a partire da qui, creare un dialogo dove le diverse formazioni teoriche delle nostre società ci permettano, con maggior approfondimento analitico e critico, di valutare le dinamiche che ci avvicinano e ci separano.
* Studentessa del Corso di Laurea Magistrale in Politiche europee ed internazionali
** Studente del Corso di Laurea Magistrale in Politiche pubbliche