Intervista

L'ascesa delle monarchie del Golfo

L'ascesa delle monarchie del Golfo

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intervista di Claudio Fontana a Cinzia Bianco

 

L’ascesa delle monarchie del Golfo è uno degli avvenimenti più rilevanti nel sistema internazionale contemporaneo. I Paesi della Penisola Arabica, che assicurano circa il 20% delle risorse energetiche mondiali, non sono più semplici attori regionali, ma si sono trasformati in veri attori globali, in grado di influenzare differenti contesti geopolitici. A margine della presentazione del suo recente volume, Le monarchie arabe del Golfo. Nuovo centro di gravità in Medio Oriente (scritto con Matteo Legrenzi), Cinzia Bianco ha risposto ad alcune domande di Claudio Fontana per Polidemos.

 

Il titolo del libro che ha scritto con il professor Legrenzi fa riferimento alle monarchie del Golfo come a un nuovo “centro di gravità del Medio Oriente”. Come è avvenuto questo spostamento del baricentro del Medio Oriente verso Riyad, Doha e Abu Dhabi? Quali sono stati gli snodi fondamentali? Cosa ha favorito questo spostamento verso est?

Lo spostamento del baricentro geopolitico del Medio Oriente da centri tradizionali come l’Iraq o l’Egitto verso il Golfo Persico, e in particolare verso le monarchie del Golfo, è un processo che è durato almeno un decennio, se non di più. Questo spostamento è caratterizzato da due momenti fondamentali. Il primo è l’invasione americana dell’Iraq nel 2003, che ha modificato il quadro strategico: le implicazioni di quell’invasione non sono state devastanti solo per l’Iraq, ma anche per il bilancio e l’equilibrio geopolitico del Golfo. L’invasione, infatti, è stata significativa anche perché ha rafforzato l’influenza iraniana nel Paese e, quindi, ha creato uno scompenso geopolitico tra le due sponde del Golfo Persico, quella araba e quella iraniana. Questo ha scatenato una serie di reazioni a catena, alimentate dal fatto che l’invasione americana dell’Iraq ha fatto schizzare il prezzo del petrolio su delle cifre mai raggiunte prima. Le monarchie del Golfo si sono perciò ritrovate improvvisamente davanti a un nuovo assetto strategico caratterizzato da maggiori minacce geopolitiche, quasi esistenziali. Al tempo stesso, però, hanno beneficiato di una pioggia di risorse finanziarie utili per gestire queste sfide geopolitiche senza precedenti.

Un secondo momento importante, anzi fondamentale, sono state le primavere arabe del 2011, che hanno toccato tutta la regione, incluse le monarchie del Golfo, seppure in maniera differente. Se nel Nord Africa e nel Levante le primavere arabe hanno messo in crisi i regimi e in alcuni casi li hanno anche distrutti, nelle monarchie del Golfo, invece, questi movimenti hanno rappresentato sì una minaccia potenzialmente esistenziale, ma nello stesso tempo i regimi avevano le risorse necessarie per sopravvivere a questa minaccia. Di nuovo, le monarchie del Golfo si sono ritrovate in una situazione dove c’erano delle sfide inedite, delle nuove minacce alla sicurezza e all’assetto geopolitico che provenivano dal resto della Regione. Ma avevano anche gli strumenti per affrontare queste sfide. Il dato assolutamente fondamentale è che dal punto di vista del Golfo le primavere arabe hanno dimostrato il disinteresse americano verso l’area e l’incapacità europea di influenzare gli equilibri geopolitici. Le monarchie del mondo arabo si sono quindi trovate davanti a un vuoto geopolitico mischiato a una nuova minaccia, e hanno capito che era necessario prendere in mano la situazione utilizzando le risorse di cui disponevano per influenzare il futuro politico ed economico del Medio Oriente, che altrimenti sarebbe andato nella direzione dei rivali storici delle monarchie del Golfo, ovvero la Turchia e l’Iran. Ci sono ovviamente delle eccezioni a questa tendenza: in primis il ruolo del Qatar, assolutamente unico nel contesto del Golfo, perché non solo non ha visto le primavere arabe come una minaccia (non ci sono nemmeno state delle proteste), ma le ha considerate come un’opportunità per giocare un ruolo ancora maggiore. Doha ha potuto contare sulle risorse finanziarie accumulate e su quelle politiche: essendo il regime qatarino molto solido nelle sue fondamenta, aveva già potuto sviluppare una rete di influenze regionali che ha attivato e sfruttato negli anni successivi alle primavere arabe. Questo cocktail esplosivo ha dato origine a una storia molto avvincente dell’evoluzione degli equilibri geopolitici nel Golfo, che raccontiamo nel volume.

 

Il libro mette al centro le monarchie del Golfo, ma uno dei fil rouge del volume è anche la necessità di elaborazione di una linea politica europea e italiana che vada più in profondità dei semplici legami commerciali. Per farlo è necessaria anche una conoscenza più adeguata degli interlocutori del Golfo Persico. Quali passi sono stati compiuti da questo punto di vista? Come si è evoluto il rapporto dell’Italia con i principali Paesi del Golfo, e come potrebbe evolvere in futuro?

L’ascesa delle monarchie del Golfo ha sicuramente colto di sorpresa l’Italia e l’Europa, che hanno faticato a venire a patti con due importanti elementi. Il primo è l’accettazione dell’arretramento strategico degli Stati Uniti e il disinteresse americano verso il Medio Oriente e il Nord Africa. Il secondo è il riconoscimento dell’ascesa geopolitica delle monarchie del Golfo che da semplici produttrici di energia fossile sono diventate prima degli investitori regionali, poi globali e infine addirittura degli attori geopolitici in grado di determinare le sorti politiche di diversi teatri regionali, anche quelli storicamente sotto l’influenza italiana o europea, come la Libia. Mentre l’Italia e la Francia si affrontavano e scontravano sul futuro politico della Libia, in realtà questo si decideva tra Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Questa è sicuramente una cosa che ha colto di sorpresa sia l’Italia che il resto dell’Europa, anche perché è un processo che è avvenuto molto rapidamente. Due momenti hanno favorito l’emersione della consapevolezza di questo cambiamento. Il primo è quello già citato: anche l’Italia e l’Europa hanno compreso che le dinamiche post-primavera araba in Medio Oriente e Nordafrica venivano determinate molto più dalle monarchie del Golfo che dall’Europa stessa. Il secondo momento fondamentale è stata l’invasione russa dell’Ucraina del 2022, che ha evidenziato come l’Arabia Saudita e le altre monarchie del Golfo non giocavano più solamente un ruolo regionale, ma addirittura internazionale. L’Italia e l’Europa si sono inizialmente adeguate, passando da un rapporto che verteva sugli scambi commerciali e di investimenti a un rapporto che andava su questioni e dossier molto più strategici, come la dipendenza energetica. Pensiamo che l’Italia ha appena concluso tramite Eni un accordo trentennale per l’approvvigionamento di gas naturale dal Qatar, che quindi andrà a sostituire interamente il gas russo, da cui l’Italia dipendeva. C’è però anche un tentativo di rapporto più geopolitico, sia tramite l’Unione europea, con la pubblicazione della strategia per il Golfo (la prima nella storia dei rapporti tra UE e Paesi del Golfo, iniziati negli anni ’80), che come Paesi individuali. Anche l’Italia, quindi, ha intensificato i contatti politici a livello di leadership ed è stato avviato lo sforzo del governo per creare un dialogo più strategico e geopolitico con gli interlocutori del Golfo. Come questo potrebbe evolvere in futuro resta da vedere, nel senso che nel frattempo la regione mediorientale e il mondo sono diventati multipolari. L’Italia si trova perciò come le altre potenze europee a competere per l’attenzione delle monarchie del Golfo e l’influenza nella regione con molte altre potenze. Tra di esse vi sono la Russia, la Cina, ma anche le potenze dell’Asean, che hanno appena concluso un summit a livello di capi di Stato a Riyad, gli Stati Uniti, gli altri paesi Brics, come l’India e il Sudafrica. Insito nel nuovo contesto multipolare vi è un elemento di difficoltà. L’Italia da sola è male equipaggiata per vincere una sfida di influenza in un mondo multipolare.

 

Giustamente nel libro si fa riferimento a un periodo di distensione nella regione che era seguito alla (parziale) ricomposizione della crisi del 2017 col Qatar e al periodo delle Primavere arabe. In quella fase anche Paesi tradizionalmente su posizioni differenti, come Turchia e Arabia Saudita o Emirati Arabi si sono riavvicinati. Nello stesso periodo sono stati firmati gli Accordi di Abramo e fino a poco fa si parlava della possibile normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele. In queste settimane assistiamo al contrario alla riemersione di un conflitto le cui conseguenze difficilmente rimarranno confinate a Israele e Palestina. Come pensa che la guerra a Gaza influirà sull’evoluzione dei rapporti tra le monarchie del Golfo e il resto del Medio Oriente?

L’escalation a Gaza seguita all’attacco terroristico di Hamas nei confronti di Israele è sicuramente un evento spartiacque nella geopolitica contemporanea del Golfo e del resto del Medio Oriente. Potrebbe segnare un’inversione di rotta rispetto a una distensione che nella regione si era vista almeno dal 2021. In quell’anno vi era stata la ricomposizione della crisi tra il Qatar da una parte e gli Emirati, l’Arabia Saudita e il Bahrein, dall’altra. Poi, nel 2022 avevamo assistito al riavvicinamento tra Turchia e Arabia Saudita e tra Turchia ed Emirati Arabi, nonostante le profondi divergenze di visione sul futuro politico della regione mediorientale. Senza dimenticare che nel 2020 erano stati firmati gli accordi che hanno siglato la normalizzazione delle relazioni di Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Marocco e Sudan con Israele. Nel 2021 è iniziato un processo che avrebbe portato nel 2023 alla distensione tra Arabia Saudita e Iran, e tra Emirati Arabi Uniti e Iran. In questo contesto, almeno l’Arabia Saudita aveva pensato di poter giungere al riconoscimento di Israele. Il problema è sorto nel portare avanti entrambi i processi contemporaneamente, dal momento che la normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita rappresentava una minaccia esistenziale per l’Iran. Adesso la prima conseguenza dell’escalation è proprio il congelamento del processo di avvicinamento tra Arabia Saudita ed Israele. Non si sa quando potrà essere scongelato il percorso verso la normalizzazione. Sarà necessario raggiungere un compromesso politico anche con i palestinesi. D’altra parte, i Paesi arabi che già avevano firmato le normalizzazioni delle relazioni con Israele potrebbero reagire a un’escalation a Gaza o un’incursione di terra israeliana congelando anche loro stessi i rapporti già sviluppati. È veramente impossibile pensare alle conseguenze geopolitiche di un’eventuale entrata nel conflitto dell’Iran tramite i propri proxies, come Hezbollah in Libano, oppure le milizie irachene e yemenite. Quali sarebbero le conseguenze? È impossibile decifrarle in questo momento. Sicuramente il momento di distensione a cui abbiamo assistito è in crisi e potrebbe essere deragliato.

 

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