Recensione

L’arte del realismo

L’arte del realismo

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di Luca G. Castellin

 

Jonathan Kirshner, Un Unwritten Future. Realism and Uncertainty in World Politics, Princeton University Press, Princeton 2022, pp. 336, 40 euro.

 

Nel 1996, mescolando ironia e disincanto, Robert Gilpin scelse come titolo per un proprio articolo, pubblicato da una prestigiosa rivista di studi internazionalisti, «Nessuno ama un realista». L’autore, infatti, intendeva sottolineare come, dopo la fine della Guerra fredda, il realismo politico fosse diventato il principale obiettivo polemico del pensiero liberale. Allora, la più feroce critica che veniva mossa a tale paradigma – che si (auto)considerava quasi infallibile – era la sua sostanziale incapacità di prevedere l’implosione dell’Unione Sovietica e il crollo del Muro di Berlino.

A finire sul banco degli imputati fu soprattutto il «realismo strutturale», ossia l’ultima variante del canone realista che aveva liquidato come ormai superato e inutile il «realismo classico». Tuttavia, le significative invettive rivolte contro il primo non sembrano potersi applicare al secondo, di cui alcuni osservatori provano a rivendicare ancora oggi la perdurante rilevanza per le relazioni internazionali. In tale prospettiva, un tentativo importante è sicuramente rappresentato dall’ultimo libro di Jonathan Kirshner, An Unwritten Future. L’obiettivo del volume, infatti, non è solo quello di «illustrare un approccio allo studio della politica mondiale», ma anche quello di dimostrare perché il realismo classico è ancora «proficuo e prezioso per descrivere, spiegare e comprendere gli eventi».

Kirshner si scaglia soprattutto contro due bersagli, il «realismo strutturale» e l’«iper-razionalismo», che ritiene altamente controproducenti per la conoscenza delle dinamiche politiche. Secondo l’autore, infatti, «quando vengono applicati al mondo reale», essi «non funzionano in maniera corretta», a causa di «alcuni errori di base radicati nel nucleo del loro apparato analitico». Entrambi pretendono – e, per molti versi, si vantano – di avere un approccio «più scientifico» allo studio della politica mondiale rispetto al realismo classico. Ma, invece, si aggrappano soltanto a «un’illusione di precisione scientifica evidente nello stile, ma vuota nella sostanza», che ne sancisce il fallimento.

Il percorso delineato da An Unwritten Future inizia dall’alba del realismo classico. Kirshner individua il punto di partenza di questa tradizione (composta da una varietà di teorie anche molto differenti fra loro) ne La guerra del Peloponneso di Tucidide. La sua analisi sulla natura umana, sulla vita delle comunità politiche e sulla contingenza della storia viene ritenuta valida ancora oggi. In Tucidide, ribadisce Kirshner, «c’è già tutto». L’opera dello storico greco ispira poi molti altri grandi pensatori dell’età moderna come Niccolò Machiavelli, Thomas Hobbes, Edmund Burke e Carl von Clausewitz. Nei loro scritti, infatti, ricompaiono la nozione di «anarchia», i concetti di «tracotanza» e «brama di potere», il ruolo dell’«incertezza» nella vita politica e la virtù della «prudenza».

Ma la lunga ombra di Tucidide si protende anche nella prospettiva del «realismo classico» che domina i decenni centrali del XX secolo. Nelle riflessioni di Edward H. Carr, Reinhold Niebuhr, Hans J. Morgenthau, George F. Kennan e Raymond Aron, Kirshner ritrova i tratti salienti di questa antica tradizione di pensiero, che finiscono invece inesorabilmente dimenticati o smarriti nel «realismo strutturale» di Kenneth N. Waltz e John J. Mearsheimer. La svolta strutturale e la svolta razionalista, che monopolizzano il realismo nella seconda metà del Novecento, proclamando il proprio rigore scientifico ed esaltando i propri modelli predittivi, non rappresentano altro, secondo Kirshner, che una forma pericolosa e inutile di riduzionismo, in cui si perde l’accuratezza analitica per l’interpretazione degli affari mondiali. Un riduzionismo che rende il futuro assolutamente imprevedibile.

Di fronte a ciò, Kirshner invita a riscoprire la politica attraverso la rivalutazione della eterna lezione offerta dal «realismo classico». Per illustrare i limiti del «realismo strutturale» e dell’«iper-razionalismo», l’autore, da un lato, prende in esame – in maniera (forse) un po’ arbitraria – alcuni celebri avvenimenti del passato, come la politica dell’appeasement e la Guerra in Vietnam, dall’altro, egli rivolge lo sguardo – tradendo un’impostazione troppo centrata sugli Stati Uniti – verso una delle principali sfide del futuro, ossia l’ascesa della Cina all’interno del sistema globale.

An Unwritten Future offre sicuramente al lettore una serie di intuizioni senza tempo sulla natura della politica mondiale, attraverso una valutazione ponderata dei differenti fattori – tangibili e intangibili – che ne caratterizzano le dinamiche. Al tempo stesso, riesce a confutare con un certo successo le ingiustificate pretese di scientificità sia del «realismo strutturale» sia dell’«iper-razionalismo». Nonostante alcune lacune, il volume sembra fornire argomenti più che convincenti e ragionevoli affinché gli studiosi tornino ad abbeverarsi alla fonte del «realismo classico». Il richiamo di Kirshner relativo all’importanza di saper ‘leggere’ la politica internazionale, tenendo conto tanto delle condizioni strutturali e materiali quanto dei fattori domestici e ideologici, è assai importante non solo per la ricerca accademica, ma anche per l’opinione pubblica.

In conclusione, il realismo politico, nella sua duplice dimensione diagnostica e prasseologica, mostra ancora la propria attualità, che risiede principalmente nella capacità di offrire un’adeguata comprensione della realtà politica. D’altronde, come sottolinea Morgenthau già nel 1946 in Scientific Man vs. Power Politics, «la politica non è una scienza ma un’arte, e per penetrarla non serve la razionalità dell’ingegnere, ma la saggezza e la forza morale dello statista». L’arte del «realismo classico», consiste allora nell’impiegare gli strumenti analitici a disposizione con giudizio per meglio descrivere, comprendere, interpretare e (per quanto possibile) anticipare gli eventi e le dinamiche delle relazioni internazionali, pur nella consapevolezza che il futuro non è affatto scritto.

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