Recensione

L’architettura della democrazia

L’architettura della democrazia

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di Damiano Palano

 

Filippo Barbera, Le piazze vuote. Ritrovare gli spazi della politica, Laterza, Roma-Bari 2023, pp. 162, euro 18.00.

 

Con la sua pellicola più recente, The Old Oak, Ken Loach arricchisce con una nuova tessera il realistico ritratto della società britannica cui si dedica da decenni. Il malandato pub che dà il titolo al film non è infatti solo il perno attorno al quale ruota l’intera vicenda, ma è anche l’unico spazio in cui gli abitanti di una piccola cittadina, ex centro minerario impoverito, possono ancora riunirsi e ritrovare le tracce di quel poco che rimane dell’antico senso di comunità. Ed è proprio quel locale sopravvissuto alla deindustrializzazione a offrire la possibilità di superare le tensioni fra locali e immigrati.

Nella sua nitida semplicità, il film di Ken Loach può essere considerato quasi una sorta di supplemento visivo al libro di Filippo Barbera, Le piazze vuote. Ritrovare gli spazi della politica (Laterza), un testo importante, che rivolge l’attenzione a un nodo spesso sottovalutato, ma cruciale per comprendere il declino della partecipazione politica e i suoi mutamenti. Barbera non si concentra infatti né sulle organizzazioni più o meno strutturate in cui la partecipazione si svolge, né considera principalmente le arene istituzionali verso cui converge la partecipazione convenzionale. Invita piuttosto a osservare le “infrastrutture” spaziali nelle quali la partecipazione può concretamente prendere forma, crescere, consolidarsi. In altre parole, Barbera guarda alle piazze, non intese però come luoghi del conflitto, come arene in cui il “basso” della società si scontra con il “Potere” e i suoi apparati.

Le piazze rimaste desolatamente vuote, come nella cittadina impoverita del film di Loach, sono infatti gli ambiti in cui diventa possibile la conoscenza faccia-a-faccia, e in cui dunque si può costruire un senso del “noi” capace di proiettarsi verso il futuro. “Lo spazio condiviso”, scrive infatti Barbera, “è alla radice dell’interazione faccia-a-faccia, o interazione situata, mediata dalla corporeità delle persone”. “Siamo corpi in azione nello spazio: corpi che scambiano, promettono, mentono, agiscono, negoziano, discutono, confliggono e cooperano attraverso l’organizzazione fisico-spaziale dell’interazione sociale”. È proprio lo spazio condiviso, sostiene il sociologo dell’Università di Torino, che costruisce la cornice in cui possono prendere forma rituali e, soprattutto, il senso di un futuro comune.

Ma sono proprio questi spazi che nel corso dell’ultimo trentennio, per effetto di trasformazioni fra loro intrecciate, sono stati progressivamente disertati, fino a perdere quasi del tutto il ruolo che avevano in passato. Mentre gli spazi fisici condivisi diventavano sempre più marginali – non solo per gli equilibri politici, ma anche per la nostra stessa vita quotidiana – un’opinione pubblica smaterializzata e de-spazializzata conquistava un’indiscussa centralità. E tutto ciò secondo Barbera spiega il mutamento della politica occidentale, segnata dallo slittamento verso politiche identitarie, tradizionaliste, nativiste. “È proprio la diffusa e pervasiva mancanza di spazi in comune con queste caratteristiche – spazi capaci di attivare meccanismi di costruzione del ‘noi’ orientato a un futuro più giusto – che lascia campo libero a favore di un ‘noi’ nativista, preda di una politica della nostalgia, della paura e del risentimento”.

L’analisi di Barbera non è solo funzionale alla spiegazione delle tendenze in atto, perché uno degli obiettivi è anche contribuire all’elaborazione di ipotesi capaci di affrontare la sfida delle “policrisi” guardando al futuro, e senza fermarsi alla gestione delle emergenze quotidiane. La “politicizzazione del futuro” richiede però anche infrastrutture spaziali adeguate. “Negli spazi di sociabilità quotidiana”, scrive infatti, “bisogni individuali e soluzioni collettive si ‘tengono per mano’“, “si prendono impegni congiunti, si creano aspettative cooperative, relazioni sociali, visioni di futuro, nessi simbolici tra il mio problema e la nostra soluzione per controllare e neutralizzare il mondo”. E si creano dunque le condizioni per pensare un “noi” che sia al tempo stesso “aperto” e proiettato verso il futuro.

Oltre a offrire preziose sollecitazioni a quanti cercano di interpretare i mutamenti contemporanei delle democrazie, il contributo di Barbera è importante anche per coloro che si occupano di democrazia. Innanzitutto, perché invita a volgere lo sguardo ben oltre il terreno strettamente politico e ben al di là del perimetro delle istituzioni, mostrando quanto sono importanti – per la vitalità e la forza della democrazia – quelle “infrastrutture sociali” nelle quali la partecipazione può articolarsi nelle sue molteplici forme. E, in fondo, anche perché con il suo volume Barbera suggerisce di inoltrarsi sul terreno di una sorta di “architettura delle democrazia”, in grado di interrogare gli intrecci fra la configurazione dello spazio, la logica dell’economia e le dinamiche della politica. E così di chiarire le sequenze con cui – all’interno di una determinata cornice spaziale – un “noi” può emergere, avanzare rivendicazioni e allargare (o restringere) i confini del confronto democratico.

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