Editoriale

Il tempo delle bolle

Il tempo delle bolle

Condividi su:

 

di Damiano Palano

 

“L’uomo è nato libero, eppure ovunque è in catene”, scriveva Jean-Jacques Rousseau. Quasi due secoli e mezzo dopo, parafrasando il Contratto sociale, potremmo aggiungere: “L’uomo è nato libero, eppure ovunque è connesso”. La transizione digitale che negli ultimi vent’anni ha investito le nostre vite ha creato un mondo del quale non solo non potremmo più fare a meno, ma da cui è pressoché impossibile uscire. Un mondo che ha cambiato il nostro modo di fruire i contenuti di intrattenimento, di interagire con le nostre cerchie di amici e conoscenti, il nostro modo di lavorare, di informarci, di partecipare alla vita politica. E, soprattutto, un mondo che ci richiede di essere sempre più, e sempre più intensamente, connessi alla rete.

Per effetto di questo mutamento, si è modificata la logica operativa dei media e sono anche cambiati i rapporti tra media e politica, definendo uno scenario sensibilmente differente da quello che Bernard Manin aveva etichettato con la formula “democrazia del pubblico”. In uno dei suoi più recenti interventi, pubblicato in italiano con il titolo Nuovo mutamento della sfera pubblica e politica deliberativa (a cura di M. Calloni, Raffaello Cortina, 2023), anche Jürgen Habermas si è interrogato sulla portata e sulle implicazioni dell’avvento dei “nuovi media” (e in particolare dei social media), specialmente considerandone gli effetti sulla dinamica della democrazia. Gli aspetti che il filosofo tedesco mette in luce sono quelli relativi al tramonto del ruolo dei gatekeeper, ossia di quei professionisti (in particolare i giornalisti) che, grazie alla loro competenza, sono in grado di mediare e di dare forma all’infrastruttura della sfera pubblica. Consentendo teoricamente a chiunque di diventare “autore”, le piattaforme eliminano qualsiasi filtro e pongono di fatto ogni opinione sul medesimo livello. Se ciò può avere effetti positivi in molti campi, per quanto attiene la sfera pubblica democratica la valutazione di Habermas è invece nettamente negativa: “la dissoluzione centrifuga dei confini della comunicazione, accelerata e aperta nel contempo a qualsiasi partecipante ovunque sia, sviluppa un’ambivalente forza esplosiva”. La promessa di una comunicazione egualitaria, osserva il filosofo, viene infatti “soffocata almeno in parte dal rumore desolato di camere d’eco frammentate che circolano attorno a se stesse”. E da ciò nasce allora “il pericolo di frammentazione per la formazione delle opinioni e della volontà politica nella comunità politica in relazione a una sfera pubblica allo stesso tempo illimitata".

Il mutamento della sfera pubblica è in grado di spiegare anche la proliferazione delle fake news e delle teorie complottiste, ma l’aspetto che Habermas più sottolinea è relativo alle conseguenze sulla democrazia. I requisiti principali del processo democratico – la deliberazione e il coinvolgimento di tutti i cittadini – vengono messi in discussione dai cambiamenti tecnologici. La comunicazione politica nella “sfera pubblica” fornisce infatti un apporto essenziale perché la sfera pubblica rimane “l’unico luogo dove l’opinione pubblica e la volontà politica si formano in modo fondamentalmente inclusivo, coinvolgendo tutte le cittadine e tutti i cittadini adulti aventi diritto di voto in corpore”. Infatti, secondo il filosofo, attraverso il “pluralismo delle opinioni, più o meno informato e filtrato dal sistema mediale, i cittadini e le cittadine hanno la possibilità di formarsi una propria opinione e di prendere una decisione elettorale il più razionalmente possibile, motivata secondo il proprio punto di vista”. Ma proprio il venir meno del ruolo del gatekeeper modifica la dinamica complessiva.

Come sempre ricca di spunti, la riflessione di Habermas si richiama alla vecchia indagine sulla nascita della “sfera pubblica”, al centro del primo e più fortunato libro del filosofo, pubblicato in italiano con il titolo Storia e critica dell’opinione pubblica. Ma si innesta ovviamente anche all’interno di quella teoria della democrazia che Habermas ha sviluppato nel corso degli ultimi decenni, delineando, più che un modello prescrittivo di democrazia, uno schema con cui intendere la democrazia come un processo deliberativo.

Sarebbe naturalmente piuttosto scontato obiettare ad Habermas una descrizione un po’ ingenua dei meccanismi con cui nel passato i cittadini si sarebbero formati la propria opinione e avrebbero assunto le loro decisioni “il più razionalmente possibile”, secondo il loro punto di vista. Sotto questo profilo, è anche piuttosto inevitabile rilevare come la pessimistica diagnosi del presente risenta geneticamente di una comparazione con l’assetto precedente, descritto in termini fin troppo generosi. O come il rilievo assegnato al gatekeeper tenda a ricondurre la sua funzione alla ponderazione degli argomenti utilizzati nella discussione o alla valutazione del contenuto delle informazioni, dimenticando del tutto la funzione propriamente politica e il ruolo di costruttori di identità, simboli e rituali che i gatekeeper – intesi in senso lato – hanno concretamente ricoperto.

Al netto di tutte queste critiche – scontate e d’altronde piuttosto note – le preoccupazioni del filosofo sui rischi che il mutamento di struttura della sfera pubblica comporta sono del tutto condivisibili, perché davvero quei processi che Habermas mette in luce innescano un’accelerazione di tendenze maturate da tempo e, al tempo stesso, processi radicalmente innovativi. E così è da prendere sul serio il suo invito a “mantenere una struttura mediatica che permetta il carattere inclusivo della sfera pubblica e un carattere deliberativo per la formazione dell’opinione pubblica e della volontà politica”.

Ciò da cui forse è necessario guardarsi è però il rischio di interpretare il presente (e il futuro) guidati dall’illusione che sia possibile invertire la rotta. Le traiettorie del “mutamento di struttura” della sfera pubblica non sono tracciate una volta per tutte, ma uno sguardo realistico sul presente impone di riconoscere che i cambiamenti che stiamo vivendo non sono reversibili, che nei prossimi anni vivremo sempre più costantemente connessi, che le logiche del “capitalismo della sorveglianza” penetreranno sempre più nelle nostre esistenze quotidiane, che quelle catene invisibili che ci legano alla rete diventeranno sempre più robuste. E il “mutamento di struttura” della sfera pubblica, la frammentazione dell’opinione pubblica, la moltiplicazione delle bolle autoreferenziali in cui “mini-pubblici” omogenei si scambiano informazioni sono probabilmente solo una tappa verso una trasformazione più radicale, che, con l’ingresso nel metaverso, potrebbe davvero trasferire le nostre vite in mondi artificiali costruiti a nostra immagine e somiglianza, recidendo così ogni legame con una sfera comunicativa comune. Ma, proprio per questo, più che puntare a restaurare le condizioni di una perduta sfera pubblica, dovremmo cercare di reinventare nuove soluzioni per dare alla democrazia sostegni adeguati al nuovo tempo delle bolle.

Data

Condividi su:

Newsletter

Iscriviti alla newsletter