EDITORIALE

Il tempo della recessione democratica

Il tempo della recessione democratica

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di Damiano Palano  

«Non si può che constatare con preoccupazione come oggi, non solo nel Continente europeo, si registri un arretramento della democrazia. Essa richiede la partecipazione e il coinvolgimento di tutti e dunque domanda fatica e pazienza. È complessa, mentre l’autoritarismo è sbrigativo e le facili rassicurazioni proposte dai populismi appaiono allettanti. In diverse società, preoccupate della sicurezza e anestetizzate dal consumismo, stanchezza e malcontento portano a una sorta di “scetticismo democratico”. Ma la partecipazione di tutti è un’esigenza fondamentale; non solo per raggiungere obiettivi comuni, ma perché risponde a quello che siamo: esseri sociali, irripetibili e al tempo stesso interdipendenti». La diagnosi formulata da Papa Francesco in occasione del suo viaggio apostolico in Grecia, del dicembre 2021, rappresenta un ottimo punto di partenza, per una discussione sullo stato della democrazia. Riconoscendo la tendenza verso un «arretramento della democrazia» e sottolineando anche il peso dello «scetticismo democratico», il Pontefice ha in effetti accolto la lettura proposta da molti politologi contemporanei. Che da diversi anni segnalano come le nostre democrazie siano investite da una serie tensioni che, pur avendo origini differenti, si intrecciano e si irrobustiscono a vicenda.

Molte letture proposte nel corso dell’ultimo trentennio hanno evocato a più riprese lo spettro di una «crisi della democrazia», riferendosi per esempio al declino della partecipazione politica, alla decadenza dei partiti, alla sfiducia verso la classe politica, alla «depoliticizzazione» di importanti aree decisionali. Negli ultimi anni, la discussione sulle sorti della democrazia ha però imboccato una nuova direzione. Eventi in parte inattesi o comunque clamorosi – come l’esito del referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, la conquista della Casa Bianca da parte di Donald Trump, l’ascesa politica di personaggi come Jair Bolsonaro, Rodrigo Duterte, Narendra Modi, il successo delle formazioni populiste in molti paesi europei – hanno bruscamente modificato la percezione degli osservatori, alimentandone il pessimismo. Alcuni politologi hanno iniziato a porsi dunque interrogativi decisamente radicali e si sono chiesti se non ci troviamo dinanzi, più che a mutamenti fisiologici nei singoli sistemi nazionali, a tensioni che logorano le basi culturali, le norme, le prassi sulle quali le democrazie occidentali si fondano.

Senza eccedere nei toni pessimisti, è piuttosto evidente che nel corso degli ultimi quindici anni una serie ininterrotta di turbolenze è andata a sfidare molte delle nostre convinzioni più solide. Le nostre democrazie si sono infatti trovate a convivere con una costante situazione di crisi, senza poter riguadagnare la perduta stabilità. Alla crisi finanziaria globale del 2007-2008 sono seguite, in Europa, la crisi del debito sovrano, e, in Nord-Africa e in Medio Oriente, un processo di destabilizzazione le cui ricadute sono state evidenti anche nel Vecchio continente, dove i flussi di profughi hanno alimentato forti tensioni politiche. Nel febbraio 2020 la pandemia ha fatto irruzione nelle nostre vite, richiedendo l’adozione di misure straordinarie pressoché a ogni livello. E il 24 febbraio 2022, settantasette anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, la guerra di aggressione è tornata in Europa.

Gli effetti della tempesta – al tempo stesso economica, politica, sanitaria, internazionale – sono diventati ben presto visibili anche agli analisti, innanzitutto sotto il profilo dell’arretramento della democrazia del mondo. Secondo Larry Diamond, sarebbe in atto da ormai circa un quindicennio una vera e propria «recessione democratica», consistente nell’arresto della crescita quantitativa dei regimi democratici presenti nel mondo, oltre che in un loro parziale arretramento. Per quanto questa lettura abbia incontrato qualche seria obiezione, negli ultimi anni diversi indici hanno confermato il quadro di un peggioramento complessivo.

Il rapporto 2022 di Freedom House sulla libertà nel mondo segnala per esempio, per il sedicesimo anno consecutivo, un deterioramento della condizione della libertà nel mondo: il 38,4% della popolazione mondiale vive infatti oggi in «Paesi non liberi», il 41,3% in «Paesi parzialmente liberi», mentre solo il 20,3% si trova in «Paesi liberi». E i due anni di crisi pandemica hanno aggravato ulteriormente la tendenza alla «recessione». Dinanzi al dilagare della pandemia, gli esecutivi – specialmente in alcuni Stati – non hanno infatti esitato a ricorrere a strumenti limitativi dei diritti dell’opposizione e dell’equilibrio dell’informazione. E, sempre per rispondere alla diffusione del contagio (o approfittando di un quadro favorevole), molti governi hanno adottato misure dalle enormi implicazioni – sull’economia, sulla società e sulla libertà personale – scavalcando le assemblee rappresentative e ogni discussione politica.

Le tensioni che le democrazie occidentali si trovano ad affrontare hanno radici profonde ed è dunque lecito attendersi che ci accompagneranno ancora a lungo, rischiando di aggravare lo «scetticismo» verso la democrazia di cui parla Papa Francesco. È anche per questo che elementi cruciali saranno nel prossimo futuro la fiducia e la resistenza del tessuto sociale che regge le nostre democrazie. Una «buona» democrazia non dipende infatti solo dal rispetto dei diritti individuali o dalla libertà di stampa, ma anche dalla forza del tessuto civico della società, dalla presenza di reti di capitale sociale, dalla partecipazione dei cittadini alla vita delle comunità. E anche per questo sarà probabilmente necessario immaginare percorsi che consentano di conservare, arricchire e potenziare quelle reti di fiducia interpersonale, di partecipazione e disponibilità alla cooperazione, di cui una solida democrazia non può fare a meno. L’Università Cattolica, fedele a una lunga storia di studio e di formazione, non manca di fare la propria parte, anche grazie alla promozione del nuovo Centro per lo studio della democrazia e dei mutamenti politici (Polidemos).

È anche con la conoscenza che si batte lo scetticismo.

 

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