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Il progetto di Milei è già in crisi? Austerità, scandali e proteste

Il progetto di Milei è già in crisi? Austerità, scandali e proteste

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Mariano Schuster e Pablo Stefanoni

 

I risultati hanno cominciato a essere pubblicati alle 21 del 7 settembre, ora di Buenos Aires, ma i volti dei militanti di La Libertad Avanza erano già spenti almeno da un’ora prima. I sondaggi “a caldo” annunciavano che il partito del presidente Javier Milei stava perdendo, in maniera netta, le elezioni legislative nella provincia di Buenos Aires, di gran lunga la più popolosa del Paese. Alla fine, il peronismo ha ottenuto il 47,28% contro il 33,71% di La Libertad Avanza, con un’elevata astensione di quasi il 40%.

Le elezioni, in cui erano in gioco 46 seggi di deputati e 23 di senatori provinciali, secondo analisti e sondaggisti sarebbero state molto combattute. Lo scenario che il governo metteva in conto andava da un pareggio fino, nel peggiore dei casi, a una sconfitta di 5 punti contro il peronismo. Tuttavia, lo scrutinio ufficiale ha spazzato via i pronostici più favorevoli al mileismo: il peronismo, sotto la guida del governatore Axel Kicillof (centrosinistra), ha battuto i libertari con 13 punti di scarto. Ha vinto inoltre in sei delle otto circoscrizioni elettorali e conquistato la maggioranza dei seggi in palio. Il mileismo, che al ballottaggio del 2023 aveva raccolto oltre il 49% dei voti, non aveva modo di minimizzare la sconfitta.

 

La scommessa di Kicillof

Per la prima volta, la provincia di Buenos Aires ha convocato elezioni separate da quelle nazionali – in questo caso, quelle del prossimo 26 ottobre – per completare il proprio Parlamento regionale. È stata una strategia del governatore Kicillof per rafforzare la propria leadership, in vista delle presidenziali del 2027, in competizione con l’ex presidente Cristina Fernández de Kirchner e con suo figlio Máximo Kirchner. Se Axel era stato per anni il delfino di Cristina, dal 2023 si è progressivamente allontanato da lei, e la frattura tra i due si è fatta sempre più profonda.

Per questo motivo, le elezioni assumevano il carattere di un plebiscito per il governatore. Ed è anche per questo che Cristina Kirchner si era opposta: l’ex mandataria riteneva, da un lato, che la provincializzazione del voto avrebbe portato il peronismo alla sconfitta; dall’altro, che in caso di vittoria il risultato avrebbe rafforzato Kicillof più di lei. Per questo proponeva di tenere le elezioni insieme a quelle nazionali di ottobre.

Ma queste elezioni – che in un altro contesto avrebbero potuto avere una lettura meramente provinciale – si sono nazionalizzate dopo che Milei ha deciso di trasformarle in un plebiscito sulla propria figura: un grave errore, dato che si trattava di un territorio ostile ai libertari, dove i sindaci conservano molto potere e dove l’austerità ha colpito duramente. La strategia del presidente era vincere nella provincia per rafforzare le possibilità libertarie nella decisiva elezione di medio termine di ottobre che, secondo la sua visione, avrebbe dovuto consegnargli una vittoria così netta da risolvere quasi d’un colpo i problemi politici ed economici.

Il risultato dei due plebisciti sovrapposti è stato chiaro: Kicillof ha vinto con un margine ben oltre le aspettative, e il governo libertario ha perso senza attenuanti.

Il risultato è devastante per Milei, che aveva promesso, con la consueta violenza, di piantare «l’ultimo chiodo nella bara del kirchnerismo». In effetti, il controverso slogan di campagna del mileismo era «Kirchnerismo mai più», copiato dal motto della lotta per il giudizio e la condanna dei responsabili dei crimini dell’ultima dittatura militare, riproducendone persino la tipografia.

E non sono pochi i libertari che, sui social, hanno accusato i bonaerensi delle zone più colpite del cosiddetto conurbano di essere «negri» che, votando per il peronismo, sembrano voler continuare a «cagare nei secchi» (metafora della mancanza di fognature). Insultare gli elettori non è mai una buona idea; farlo in modo razzista, ancora meno. Ma la provocazione permanente e il tono violento e sprezzante – funzionale o disfunzionale che sia – fanno parte del DNA del mileismo.

Anche la destra di Mauricio Macri figura tra i sconfitti del 7 settembre: il partito dell’ex presidente, in un sorprendente gesto di auto-umiliazione politica, ha accettato di presentarsi alle elezioni sotto le sigle e i colori de La Libertad Avanza. Nonostante i suoi dubbi, un indebolito Mauricio Macri ha finito per accettare le imposizioni di Karina Milei, una figura che disprezza. Oggi il suo futuro appare incerto.

Le cause della sconfitta sono tuttavia soprattutto economiche. La riduzione dell’inflazione si è basata su un aggiustamento brutale – secondo Milei, «il più grande della storia dell’umanità» – che ha colpito meno la «casta» politica, come promesso in campagna, e molto di più i settori popolari. Milei ha paralizzato le opere pubbliche – in nome delle sue velleità anarco-capitaliste –, congelato pensioni e altre prestazioni, e il piano ha avuto un costo altissimo in termini di attività economica.

Benché il governo si sia vantato del fatto che l’austerità non abbia provocato un’esplosione sociale come in passato, e che abbia ridotto la povertà di milioni di persone, il malcontento sociale si è espresso nelle urne. Persino il peronismo ha vinto in aree agricole che solitamente gli sono ostili.

Alla crisi economica si è aggiunta una serie di presunti episodi di corruzione, tema sensibile per gli elettori di La Libertad Avanza, soprattutto quelli meno fedeli. Prima Milei ha promosso sui suoi social la criptomoneta Libra, che è crollata nel giro di pochi minuti, con perdite enormi per chi vi aveva investito e profitti milionari per loschi personaggi – con legami documentati con Milei – che l’avevano creata.

Più tardi, un jet privato di un imprenditore vicino alla Casa Rosada, con a bordo solo due piloti e una rappresentante della Conservative Political Action Conference (CPAC), ha introdotto nel Paese valigie sospette senza passare per i controlli doganali.

Ancora più grave: del fentanil contaminato ha causato quasi cento morti, mentre il Ministero della Salute restava inerte.

E lo scandalo più devastante, perché ha colpito al cuore del potere: la diffusione di audio di un ex funzionario ed ex intimo amico di Milei in cui si affermava che Karina Milei – sorella del presidente, soprannominata «il Capo» – riceveva tangenti sui contratti con laboratori farmaceutici firmati dall’Agenzia Nazionale per la Disabilità. Questo caso ha colpito duramente la figura di Karina Milei che, senza alcuna esperienza politica, si era impadronita del controllo dello Stato: da un lato mostrava che il governo, che si proclamava crociato contro la «corruzione kirchnerista», era rapidamente precipitato nel fango del denaro sporco; dall’altro, a differenza del caso Libra, in cui i danneggiati erano crypto bros stranieri, qui le vittime erano i disabili, proprio mentre il governo stava tagliando fondi a questo settore.

L’opposizione si è ritrovata con un’arma politica potentissima: la percezione che «il governo ruba ai disabili». Una canzone ha guadagnato in pochi giorni un’enorme popolarità: il ritornello ripeteva che «Karina è una grande tangentiara». La cifra citata negli audio filtrati, il 3%, è diventata simbolo del suo disonore, alimentando meme, battute e gesti contro colei che il presidente aveva addirittura paragonato a Mosè. Milei ha cominciato a essere visto come un «uomo crudele» da gran parte degli argentini. Nonostante la carica presidenziale, non ha mai smesso di insultare i suoi critici – soprattutto economisti e giornalisti – con espressioni come «asini», «merde umane», «mandrilli» (allusione sessuale al sedere rosso di quei primati) o i progressisti come «sinistri figli di grandissime puttane». Ha persino iniziato a chiudere i suoi messaggi con la frase «Non odiamo abbastanza i giornalisti», accusandoli di tentare di screditare il suo governo. Non ha evitato neppure di litigare pubblicamente con i medici del celebre ospedale pediatrico Garrahan e persino con un attivista dodicenne per l’autismo. Il suo esercito di troll non ha esitato a chiedere al presidente di chiudere o far saltare in aria il Congresso – dove il governo non ha la maggioranza – quando vengono approvate leggi che, secondo la visione ufficiale, avrebbero lo scopo di distruggere l’avanzo fiscale e lo stesso esecutivo.

 

Un leone erbivoro?

Con un tono insolitamente misurato, il presidente ha riconosciuto quella che è stata, a tutti gli effetti, una batosta elettorale. «La prima cosa da fare è accettare i risultati, e i risultati non sono stati positivi», ha dichiarato davanti ai suoi sostenitori, circondato da parte del suo gabinetto e dal «triangolo di ferro» composto dal suo consigliere Santiago Caputo e da sua sorella Karina Milei, formalmente segretaria generale della Presidenza. «Non possiamo ripetere gli errori. Guardando al futuro, correggeremo tutti i nostri errori», ha affermato. Ma invece di spiegare quali fossero e provare a delineare possibili cambiamenti, ha rilanciato nella direzione opposta. «Il cammino per il quale siamo stati eletti non sarà modificato, anzi sarà rafforzato», ha dichiarato, per poi elencare, con il suo consueto autoelogio, tutte le sue misure: dalle politiche economiche a quelle culturali, senza dimenticare l’allineamento internazionale con i “Paesi giusti” – che, nella sua visione, sono fondamentalmente Stati Uniti e Israele. Tirando fuori dal cilindro una citazione d’autorità per affrontare la sconfitta, Milei ha evocato Churchill: «Il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale». Ma il suo discorso non suonava affatto come quello del «Leone», come i suoi sostenitori chiamano il leader.

Milei si è presentato al voto sotto molteplici pressioni sul dollaro, che il governo tiene «bloccato» per evitare una nuova impennata dell’inflazione – la cui riduzione è il suo principale capitale politico. Ma per impedire un balzo del tasso di cambio ha fatto schizzare alle stelle i tassi di interesse – per drenare pesos ed evitare che si convertissero in dollari – e le riserve bancarie. Oggi persino economisti ortodossi e settori dell’establishment dubitano del piano economico portato avanti dal ministro Luis Caputo – già ministro di Mauricio Macri, che perse le elezioni proprio a causa dei pessimi risultati nell’area economica. Il rischio Paese ha superato i 900 punti, e il governo lo chiama «rischio kuka» – dal dispregiativo cucaracha, usato per riferirsi al kirchnerismo. Secondo la narrativa ufficiale, cioè, il rischio sarebbe legato a risultati elettorali come quelli del 7 settembre, che riaprono la possibilità di un futuro ritorno del peronismo al potere.

Sul piano politico, il «triangolo di ferro» minaccia da tempo di esplodere. Le fughe di audio che menzionavano Karina Milei hanno sollevato ogni tipo di sospetto sugli autori della registrazione clandestina – è stata forse orchestrata da qualcuno dello stesso entourage di governo? –. Ma anche le elezioni hanno acuito le tensioni tra Karina e il potente (e opaco) Santiago Caputo, che completa il triangolo con Milei al vertice. Inoltre, i passi falsi del governo hanno indebolito due rappresentanti del «clan Menem», parenti dell’ex presidente Carlos Menem (1989-1999): Eduardo «Lule» Menem, braccio destro di Karina, e Martín Menem, presidente della Camera dei Deputati. Sebbene formalmente sia solo un «consulente», Caputo controlla aree strategiche del governo – inclusi i servizi segreti – ed è entrato in rotta di collisione con la sorella presidenziale sulla strategia elettorale: lui proponeva di allearsi con settori dell’opposizione dialogante, in particolare con i governatori, per rafforzare le possibilità elettorali di un governo privo di un vero partito; lei invece ha optato per liste «pure» de La Libertad Avanza per «puntare a tutto», facendo affidamento sull’alta popolarità del presidente. Ma i candidati scelti – spesso figure controverse o poco conosciute – si sono rivelati fino ad ora disastrosi. Prima nella provincia di Corrientes, nel nord-est, e ora nella strategica Buenos Aires. La mobilitazione di violenti barrabravas del calcio durante il comizio di chiusura della campagna ha mostrato che la promessa di rinnovamento politico e morale del mileismo poteva rapidamente degenerare nelle peggiori pratiche della «casta» – ma senza la sua abilità politica.

 

Il «nano sovietico» contro Milei

Rafforzato dai risultati, Kicillof cercherà ora di consolidare il suo discorso sullo «Stato presente» (anche se in molti comuni bonaerensi governati dal peronismo lo Stato lascia molto a desiderare). In sintesi: più Keynes – figura che provoca quasi crisi isteriche nel presidente – e meno Rothbard, l’anarco-capitalista statunitense a cui Milei dice di ispirarsi. Tuttavia, sebbene il governatore abbia invitato a cantare «nuove canzoni», queste non sono ancora emerse e tornare alla «età dell’oro» del kirchnerismo non sembra un’opzione. Il peronismo è stato tradizionalmente una combinazione di macchina elettorale tradizionale e capacità di creare potenti narrazioni e una mistica politica. Nel 2023, Milei aveva messo in crisi entrambe le dimensioni. Ma con questi risultati, il partito fondato da Juan Domingo Perón negli anni ’40 torna a illudersi di poter essere di nuovo un’opzione di governo, grazie agli scivoloni dell’esecutivo.

Con origini nella classe media intellettuale di Buenos Aires, Kicillof si è avvicinato tardivamente al peronismo e nulla lasciava pensare che potesse guidarlo. Molti capibastone locali lo consideravano troppo «molle», con il suo volto da ragazzino e lo stile da dirigente studentesco. Ma la sua rielezione del 2023 e la vittoria del 7 settembre sono stati due gradini che lo hanno proiettato come leader autonomo, ormai indipendente dall’ala di Cristina Kirchner. «Le urne hanno detto a Milei che non si possono fermare le opere pubbliche, che non si può picchiare i pensionati [in riferimento alla repressione delle marce settimanali per l’aumento delle pensioni], che non si possono abbandonare i disabili. Le urne hanno gridato che non si può smantellare l’istruzione, la sanità, la scienza e la cultura. Le urne gli hanno detto che deve smettere di insultare la democrazia, il federalismo e la Costituzione», ha dichiarato Kicillof ai suoi sostenitori.

Ponendosi chiaramente come leader dell’opposizione, si è rivolto direttamente al presidente: «Milei, il popolo ti ha dato un ordine: non puoi governare per gli stranieri, per le corporazioni, per chi ha di più. Ascolta il popolo. Dobbiamo assolutamente incontrarci come autorità della provincia in cui vive il 40% degli argentini. Aspetto la tua chiamata, abbi il coraggio e la forza di chiamare, lavorare e trovare un accordo». L’ex presidente Cristina Kirchner è uscita sul balcone dell’appartamento in cui sconta una condanna a sei anni di arresti domiciliari – che include l’interdizione perpetua dai pubblici uffici – per festeggiare insieme a centinaia di manifestanti che la acclamavano dalla strada. Per Cristina, la vittoria ha un sapore agrodolce: da un lato, il trionfo peronista migliora la sua situazione personale e rafforza la sua denuncia di «proscrizione»; dall’altro, consolida Kicillof, ormai distante da lei. In un messaggio pubblicato sul social X, usato abitualmente per rivolgersi direttamente al presidente argentino, ha scritto: «Hai visto Milei?… Banalizzare e vandalizzare il ‘Mai più’, che rappresenta il periodo più nero e tragico della storia argentina, non è gratis. Prendere in giro la morte e il dolore dei tuoi avversari, neppure. Ma stigmatizzare i disabili, mentre tua sorella prende il 3% di tangenti sui loro farmaci, è letale. E meglio che non ti dica come stanno gli altri (quelli che ancora hanno un lavoro)… indebitati per cibo, affitto, bollette o medicine, e con le carte di credito già esplose… Esci dalla bolla, fratello… la cosa si sta mettendo male. Saluti cordiali da San José 1111». Quell’indirizzo, nella zona sud di Buenos Aires, è oggi un luogo di pellegrinaggio per i kirchneristi.

Kicillof, da parte sua, ha già lanciato uno spazio politico proprio – all’interno del peronismo – chiamato Movimento Diritto al Futuro, con il quale il governatore – che Milei soprannomina «il nano sovietico» – cercherà di unire il peronismo oggi frammentato attorno alla sua figura. Ora, Kicillof dovrà confermare la sua vittoria nelle elezioni nazionali di ottobre, in cui Milei sogna una rivincita.

 

Il Congresso, la nuova trincea

Accanto all’andamento economico – Milei sperava che il ciclo elettorale inviasse un segnale alla politica e ai mercati – si aggiunge una rinnovata attività parlamentare. Il respingimento del veto presidenziale alla Legge di Emergenza sulla Disabilità, deciso da più di due terzi del Senato, e l’avanzata di un’iniziativa per limitare i decreti presidenziali – di cui Milei fa ampio uso e abuso – sono solo alcuni esempi che mostrano come il Congresso sia ben lontano dalla sottomissione iniziale. In quei primi mesi, travolta dalla popolarità di Milei, parte dell’opposizione aveva votato a favore della Ley Bases, un mega-progetto legislativo che includeva una radicale deregolamentazione dello Stato. Il governatore della provincia di Santa Fe, Maximiliano Pullaro, dell’ala di centrodestra della Unión Cívica Radical, ha riassunto così: «La gente non vuole più urla, vuole fatti». Il Congresso, dominato dall’opposizione, difficilmente sopporterà ancora a lungo gli insulti quotidiani del presidente e del suo entourage.

Nessuno sa con certezza quale direzione prenderà Milei, ma si prevedono cambiamenti nel suo gabinetto. Prevarranno i «falchi» o le «colombe», come il capo di gabinetto Guillermo Francos? Ci sarà qualche margine perché Karina Milei ceda parte del suo potere, dato il suo legame psicologico – quasi patologico – con il fratello (che in alcune occasioni scoppia a piangere quando la nomina)? Che colpi di timone potrà dare in campo economico? Fino a che punto arriverà l’assedio parlamentare? E infine: quali possibilità ha il governo di ribaltare, nelle elezioni nazionali di ottobre, questo risultato? Tra le fila del mileismo regnavano sgomento e malumore. «Qui continueremo a resistere FINO ALLA FINE. Ma ordina SUBITO la squadra. Metti ordine e VINCEREMO», ha scritto su X Gordo Dan, leader dell’esercito digitale mileista. Molti invocavano un ritorno alle origini: reincorporare i libertari messi da parte e ridimensionare il potere di Karina Milei. In sintesi, la fantasia di tornare al “momento zero”, quando il mileismo era tutto illusione e speranza, contrapposto alla realtà odierna, in cui deve fare i conti con la politica vera e con la fine della luna di miele con la società.

 

Mariano Schuster è giornalista e editor della rivista “Nueva Sociedad”

Pablo Stefanoni è storico e giornalista, capo redattore della rivista “Nueva Sociedad”

 

Questo articolo è stato originariamente pubblicato in spagnolo sull’edizione digitale della rivista “Nueva Sociedad”. Si ringrazia la rivista per averne consentito la traduzione e la sua pubblicazione in italiano.

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