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Il Portogallo vira a destra

Il Portogallo vira a destra

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di Andrea Farinella

 

Il 25 aprile 1974, la Rivoluzione dei Garofani pose fine all’Estado Novo di Salazar, uno degli ultimi regimi autoritari di destra in Europa occidentale assieme alla Spagna franchista. La discontinuità con l’ordine salazarista fu così forte da consentire ai gruppi di estrema sinistra di egemonizzare la fase iniziale della transizione, prima di approdare alla democrazia liberale.

Dopo mezzo secolo, le elezioni legislative del 10 marzo segnalano un’evidente inversione di tendenza del termometro politico portoghese, che è oscillato verso il polo opposto con l’ascesa dirompente di Chega, il partito simbolo della nuova estrema destra lusitana. André Ventura, leader di Chega, ha dichiarato che “questa è la notte in cui è finito il bipartitismo”, commentando a caldo i risultati elettorali. Un’affermazione altisonante, che però fa leva su numeri oggettivamente non trascurabili: Chega si staglia ora come terzo partito nazionale, quadruplicando la propria forza parlamentare rispetto alle legislative del 2022 (da 12 a 48 seggi) e accrescendo il consenso elettorale dal 7% al 18%.

Le elezioni derivano dalla scelta forzata del Presidente della Repubblica Marcelo de Sousa di sciogliere il Parlamento con due anni d’anticipo rispetto alla scadenza naturale, come conseguenza della caduta del terzo governo Costa. Il capo di Stato, responsabile del secondo scioglimento anticipato dopo quello del 2022, ha dovuto prendere atto delle dimissioni del Primo Ministro António Costa, avvenute nel quadro di un’indagine per corruzione che ha travolto l’esecutivo socialista, mettendo in luce l’esistenza di presunte tangenti legate allo sfruttamento delle miniere di litio. A fronte di una crisi politica insanabile, l’indizione di nuove elezioni è stata ritenuta necessaria per “per superare un vuoto inaspettato, che ha sorpreso e turbato tanti portoghesi”, secondo le parole pronunciate dal Presidente nella comunicazione al Paese del 9 novembre.

Le elezioni si sono svolte in un clima infervorato dagli scandali degli ultimi mesi e dalle accuse della coalizione di centrodestra, Alleanza Democratica (formata dal Partito socialdemocratico, dai popolari del CDS-PP e dai monarchici), di ipotetici voti persi per l’errore di alcuni elettori che avrebbero confuso la sigla di AD con quella del partito di Alternativa Democratica Nazionale (ADN). Il tutto condito da un testa a testa clamoroso tra AD, guidata da Luís Montenegro, e il Partito Socialista (PS) di Pedro Santos. Il verdetto finale sul territorio nazionale, in attesa che vengano conteggiati i voti degli elettori all’estero, ha sancito la vittoria di misura del centrodestra sui socialisti, con AD che ha raccolto il 29,49% dei voti e 79 seggi parlamentari, a fronte del 28,66% e dei 77 seggi ottenuti dal PS. Tra i vincitori figurano anche Iniziativa Liberale (IL) e il Blocco di Sinistra (BE), che hanno aumentato i rispettivi voti (pur mantenendo lo stesso numero di deputati eletti), nonché gli ecosocialisti di Livre (L), che guadagnano tre seggi in più rispetto al 2022. Viene invece mancato l’obiettivo dei comunisti e dei verdi della Coalizione Democratica Unitaria (CDU) di recuperare terreno dalla sconfitta del 2022 e dal declino elettorale degli ultimi anni.

Ma l’esito elettorale racconta molto di più di quanto si possa desumere dal distacco minimale tra i primi due partiti, con la débâcle socialista certificata dalla stessa leadership del partito. Infatti, benché manchino ancora quattro seggi da assegnare per i voti esteri, Santos ha già ammesso la sconfitta, rilevando che “tutto indica che il risultato non permetterà al PS di essere il partito con più voti” e congratulandosi con gli avversari. Parallelamente, Montenegro ha dichiarato che “sembra inevitabile che l'AD abbia vinto le elezioni e che il PS abbia perso". Il tracollo del PS appare molto più evidente confrontando i risultati correnti con il consenso registrato alle legislative del 2022, con un calo drastico dal 41% al 28%.

Proprio il declino socialista dopo otto anni di governo ha spianato la strada all’ascesa esplosiva di Chega, che ha saputo concentrare strategicamente la campagna elettorale sul problema della corruzione, capitalizzando la perdita di credibilità dei socialisti avvenuta sull’onda lunga degli scandali del 2023. Un altro cavallo di battaglia dell’estrema destra è stata la fuga di cervelli tra la popolazione giovanile, segnalando il numero allarmante di under 40 che vivono fuori dal Paese e promettendo condizioni più favorevoli per gli studi e per le abitazioni. Indicativo, a questo riguardo, che la formazione di Ventura si sia imposta come primo partito tra i giovani della fascia d’età 18-34. Chega ha anche sposato una linea molto restrittiva in materia migratoria con l’obiettivo dichiarato di tutelare gli interessi nazionali.

Il partito è stato al centro delle polemiche per alcuni nostalgici salazaristi presenti nel partito, per la riproposizione rivisitata dello slogan del dittatore portoghese “Dio, Patria, Famiglia” (con l’aggiunta di “Lavoro”) e, in generale, per un programma radicalmente nazionalista, conservatore ed euroscettico. Ciononostante, Chega ha intercettato le preferenze della fascia di popolazione disillusa dall’ultima legislatura socialista e dal recente discredito della classe politica, provocato dalle inchieste giudiziarie. Una carta vincente sono stati soprattutto i giovani, sentitisi abbandonati dalle istituzioni nazionali e meno condizionati dall’influsso moderatore esercitato sulla generazione più anziana dai ricordi del salazarismo. Indubbiamente, questa tornata elettorale segna un momento di svolta nella storia politica portoghese, incrinando lo storico bipartitismo tra i moderati della destra e della sinistra.

Si delinea così un sistema tripartito con due piattaforme tradizionali di orientamento centrista (AD e PS) e una creatura politica recentissima, dotata di influenza parlamentare (Chega). Tripartizione che, peraltro, si riflette anche sulla distribuzione geografica dei voti, con il Nord che si conferma roccaforte del centrodestra, le regioni centro-meridionali ancora legate ai socialisti e la regione dell’Algarve nell’estremo sud conquistata da Chega. A questo punto, si profilano diversi scenari per la formazione del nuovo governo a causa del mancato raggiungimento della maggioranza assoluta. Ventura ha auspicato la partecipazione di Chega al nuovo esecutivo per costruire una “forte maggioranza di destra”, sostenendo che “i portoghesi hanno detto chiaramente di volere un governo bipartitico: Chega e AD". D’altro canto, il leader di AD ha ribadito l’impegno a non concludere accordi con l’estrema destra, posizione che, se fosse effettivamente mantenuta, potrebbe condurre a una soluzione di tipo tedesco, con la formazione di un governo di larghe intese tra AD e PS.

L’estromissione di Chega potrebbe avvenire anche con un governo di minoranza di AD, che per i socialisti sarebbe una prospettiva comunque preferibile rispetto al coinvolgimento del partito di Ventura. Infine, una terza ipotesi ventilata, che richiederebbe a Montenegro di disattendere le promesse iniziali, implicherebbe un’alleanza di AD con l’estrema destra sotto forma di appoggio esterno o, clamorosamente, di una partecipazione diretta alla compagine ministeriale. Indipendentemente dalle scelte del capo di Stato e dei leader politici, la cospicua presenza parlamentare di Chega potrebbe influire sugli equilibri della nuova legislatura e sulle future deliberazioni nell’organo legislativo. Quello che è certo che il pendolo politico portoghese non si era mai spostato così a destra dall’epoca salazarista, in un contesto che è stato anche segnato da un’affluenza alle urne significativa, con un tasso di astensione del 33,8% (il più basso dal 1995).

 

Andrea Farinella è laureato in Politiche europee e internazionali presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore.

* Foto di engin akyurt su Unsplash

 

 

 

 

 

 

 

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