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Il Partito Democratico di Elly Schlein. Una ricerca sulle primarie del Pd

Il Partito Democratico di Elly Schlein. Una ricerca sulle primarie del Pd

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di Nicolò Ferraris*

 

Il 26 febbraio scorso, in occasione delle primarie del Partito Democratico, Elly Schlein è riuscita a superare Stefano Bonaccini, Presidente in carica della Regione Emilia-Romagna, da molti ritenuto il candidato della “vecchia guardia” e anche per questo considerato favorito alla segreteria fino all’ultimo momento. L’ascesa alla segreteria di Schlein è stata accolta come una rivoluzione interna al Partito Democratico. Gli elementi di novità rispetto alle precedenti primarie del partito non sono passati inosservati. Lo Standing Group “Candidate and Leader Selection” della Società Italiana di Scienza Politica (SISP) ha colto l’occasione di queste consultazioni per studiare i selettorati (coloro che hanno preso parte al voto) e il report che ha realizzato offre uno strumento molto utile per comprendere in che modo la quasi-outsider Schlein sia riuscita ad avere la meglio sul rivale.

Come detto, il voto a Schlein è stato accompagnato da alcuni elementi di novità (e di rottura) rispetto al passato. Le primarie del Partito Democratico sono state “aperte” anche ai non iscritti, rendendo di fatto il partito “scalabile” grazie ai voti dei non iscritti. Infatti, il 73% dei selettori alle primarie, secondo la ricerca dello Standing Group Sisp, non era iscritta al Pd. Sono stati dunque in misura maggiore proprio i non-iscritti rispetto agli iscritti a votare tanto Schlein quanto Bonaccini, con una maggioranza per Schlein (78%, contro 57% a favore del presidente dell’Emilia-Romagna).

Tale relazione si riflette anche sul posizionamento nello spettro politico dei selettori di Schlein e Bonaccini. Coloro che hanno votato Schlein si posizionano “decisamente più a sinistra di quelli di Bonaccini” e alle elezioni parlamentari del 2022, hanno votato in misura relativamente maggiore Alleanza Verdi Sinistra e Movimento 5 Stelle. Oltre al posizionamento, i selettori di Schlein sarebbero favorevoli a politiche più a sinistra rispetto ai sostenitori di Bonaccini, in particolar modo in tema di immigrazione (il 65% degli intervistati si è detto a favore di politiche per l’accoglienza, e gli elettori di Schlein superano di quindici punti percentuali coloro che hanno votato per Bonaccini a riguardo di una maggiore accoglienza in Italia di immigrati). I selettori di Schlein sono anche meno “fedeli” al partito, e mostrano possibilità di defezione più alta, in caso di sconfitta della candidata, rispetto agli elettori di Bonaccini.

Secondo l’indagine, Schlein è stata in grado di rappresentare al meglio i valori politici dei selettori, mentre Bonaccini è stato votato per il suo progetto di partito e in quanto candidato ritenuto capace di portare alla vittoria il Pd alle elezioni politiche. Dalla ricerca, tuttavia, non emergono solamente elementi di differenziazione. I selettori di Schlein e Bonaccini non mostrano particolari disomogeneità riguardo a età, istruzione, genere, interesse per la politica ed esperienza pregressa di voto alle primarie. In ogni caso, dal rapporto dello Standing Group SISP si evince un sostanziale spostamento a sinistra dell’elettorato del Partito Democratico: secondo l’indagine, infatti, “i due gruppi di selettori rappresentano due mondi ideologicamente diversi, decisamente spostato a sinistra quello di Schlein, più vicino al centro quello di Bonaccini”.

Attraverso le primarie aperte, il Pd è riuscito ad attrarre una parte di elettorato maggiormente rivolto verso posizioni di sinistra, che ha trovato in Schlein il candidato in grado di rappresentare i propri valori in modo più efficace rispetto a Bonaccini. Dal momento che, come scriveva Giovanni Sartori, i partiti sono “il naturale sistema di incanalamento” dell’opinione pubblica, si può ipotizzare che ciò debba comportare una virata a sinistra dello stesso Partito Democratico. In campagna elettorale, Schlein ha effettivamente espresso un’agenda politica incentrata su “disuguaglianze, clima, precarietà”, più nettamente rivolta verso sinistra. E se questo spostamento dovesse essere confermato, potrebbero delinearsi rilevanti ripercussioni sul sistema partitico italiano uscito dalle elezioni del settembre 2022.

In questa fase ogni previsione è prematura, ma si possono comunque ipotizzare alcuni scenari alternativi. Il primo è contrassegnato da una crescita della polarizzazione del sistema partitico. Le elezioni dello scorso settembre hanno d’altro canto visto la chiara affermazione di Fratelli d’Italia e sono state seguite dalla formazione del governo Meloni: primo governo guidato da una donna, ma anche primo governo, nella storia repubblicana italiana, guidato da un partito di impronta “post-fascista”, di “destra populista radicale”, per molti analisti espressione del pessimismo-nostalgico che Colin Crouch considera tratto persistente delle “postdemocrazie” occidentali segnate da un decennio di crisi. Pur avendo attraversato un parziale processo di istituzionalizzazione e moderazione (su alcuni temi di politica internazionale, l’agenda Meloni ricalca quella di Draghi), il nuovo esecutivo ha espresso posizioni e avanzato proposte proprie del patrimonio della destra, o quantomeno della “destra populista” degli ultimi due decenni.

Secondo quanto emerge dalla ricerca dello SG della Sisp, proprio questo slittamento verso destra della politica italiana sembrerebbe aver alimentato una reazione di segno politico opposto e rafforzato la domanda per una sinistra politica più radicale. Con un Partito Democratico spostato più a sinistra sullo spettro politico rispetto quello della segreteria di Enrico Letta, il sistema partitico italiano potrebbe così tornare ad assomigliare in particolare al “pluralismo polarizzato”, teorizzato negli anni Settanta del secolo scorso da Giovanni Sartori, per l’elevato numero di partiti (M5S, PD, Azione-IV, FI, Lega e FDI), anche se in questo caso non vi sono veri e proprio partiti “anti-sistema” (ma semmai anti-establishment), e se il centro politico non risulta stabilmente “occupato” (bensì, piuttosto, eroso). Con la conseguenza di un’ulteriore polarizzazione, sia dei partiti, sia delle opinioni e delle posizioni politiche, di cui alcuni commentatori hanno sottolineato i rischi.

Una simile tendenza si concretizzerà però se il Partito Democratico di Schlein continuerà a competere alla sinistra dello spettro politico, cercando di attirare quell’elettorato di sinistra che ha votato altri partiti nelle ultime consultazioni (compreso M5S) e guardando forse anche a un’alleanza con la formazione guidata da Giuseppe Conte, così come d’altronde auspicato – secondo il rapporto dello SG della Sisp – dalla maggioranza dei selettori di Schlein. Se ciò avvenisse, il M5S potrebbe essere relegato a un ruolo di junior partner, o in alternativa distanziarsi ancora dal Partito Democratico per ritagliarsi nuovamente una collocazione autonoma. I sondaggi delle ultime settimane sembrano proprio andare in questa direzione, con un significativo recupero da parte del Pd, contestuale a un ridimensionamento delle percentuali pentastellate, e con un notevole balzo in alto della credibilità della nuova segretaria democratica. Ma una possibile discriminante di tutto ciò potrebbe essere la posizione del Pd sul sostegno militare all’Ucraina, ancora non del tutto chiarita. In uno scenario speculare, se le proposte politiche di Schlein subissero un processo di moderazione e il PD si volgesse nuovamente verso il centro dello spettro politico, tornerebbe in gioco l’ipotesi di un’alleanza con il cosiddetto “Terzo polo” di Renzi e Calenda. Il M5S sarebbe così incentivato a distanziarsi ulteriormente dalle posizioni del PD, alla ricerca dello spazio abbandonato sulla sinistra. Se ciò avvenisse, sarebbe possibile una più grande alleanza post-elettorale, sempre in funzione antigovernativa, tra M5S, PD e Terzo polo, la quale però potrebbe avere difficoltà a trovare un compromesso sulle questioni internazionali. In entrambi gli scenari che si possono delineare in questa fase, l’ascesa alla segreteria di Schlein potrebbe dunque essere la miccia di una ricomposizione del sistema partito italiano, o quantomeno di un riassestamento. E i prossimi mesi ci daranno indicazioni ulteriori su quale di queste due direzioni imboccherà il Pd guidato dalla nuova segreteria.

 

* Nicolò Ferraris, dottore magistrale in Politiche europee e internazionali, è attualmente Program Assistant del Master in Economia e Politica Internazionale dell’Aseri (Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali).

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