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Il mondo multipolare secondo Francesco

Il mondo multipolare secondo Francesco

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Enrico Bianchi

 

Sabato 26 aprile, Roma è tornata per qualche ora a essere davvero caput mundi: il funerale di papa Francesco, scomparso sei giorni prima all’età di 88 anni dopo 12 anni di pontificato, ha radunato in città quasi mezzo milione di persone e catalizzato l’attenzione mediatica globale. A rendere omaggio al pontefice argentino, in piazza San Pietro, si sono ritrovati anche quasi tutti i leader mondiali, restituendo, al di là dei formalismi di circostanza, l’immagine delle attuali tensioni internazionali: oltre alle (attese) assenze di Vladimir Putin e Xi Jinping, meno scontata ma altrettanto significativa è stata la mancata partecipazione di una delegazione di alto livello dello Stato di Israele; Donald Trump è stato – come sempre – tra i principali catalizzatori delle luci dei riflettori, soprattutto per l’irrituale incontro con Volodymir Zelensky all’interno della basilica di San Pietro che ha alimentato le speranze di un qualche progresso verso la fine del conflitto iniziato nel febbraio 2022 che tanto aveva preoccupato Francesco negli ultimi anni del suo pontificato. L’impegno per la pace è uno dei tratti più enfatizzati del magistero di Bergoglio, e rappresenta uno dei tasselli principali della sua visione della politica mondiale, che ha saputo cogliere forse prima del tempo alcune delle tendenze che, in qualche modo, si sono manifestate anche in occasione delle sue esequie.

Da diverso tempo è opinione diffusa che l’attuale stato delle relazioni internazionali sia rappresentato da un multipolarismo dai tratti competitivi e conflittuali, in un contesto di evidente crisi dell’Ordine Internazionale Liberale e della leadership dei suoi principali campioni, gli Stati Uniti e, in misura minore, l’Europa.

Il conflitto in Ucraina ha segnato il definitivo ritorno dell’uso della forza per disputare i confini di uno Stato sovrano, ma rappresenta solo un ulteriore “salto di qualità” di una tendenza non nuova, innestatasi su tensioni presenti nella politica internazionale almeno dalla fine della Seconda guerra mondiale. La «rivolta contro l’Occidente», per citare Hedley Bull, ha via via acquistato centralità negli ultimi tre decenni, con la narrazione dello «scontro di civiltà» huntingtoniano prima e con l’ascesa revisionista di Cina e Russia poi, ed è accentuata da crisi tutte interne all’Occidente stesso che sempre più mette in dubbio la propria tradizione di democrazia liberale. A ciò si aggiungono e si intersecano radicate tensioni regionali, come il Medioriente dopo il 7 ottobre 2023 sta a ricordare, e fenomeni transnazionali su larga scala come le migrazioni e i cambiamenti climatici.

Questa somma di fattori di crisi è stata spesso al centro del magistero sociale di Francesco, che in più occasioni ha dimostrato un’efficace capacità descrittiva e, per così dire, diagnostica dello stato delle cose, affiancandovi tuttavia – com’è naturale, visto il suo ruolo – una forte proposizione normativa.

Emblematico è il caso del multipolarismo. Se nell’assetto oggi concretamente assunto nei rapporti tra gli Stati esso è fattore di competizione, quando non di vero e proprio conflitto, nella visione di Bergoglio rappresentava invece un’opportunità e un obiettivo da perseguire. Egli ne proponeva quindi un modello alternativo, pluralista e cooperativo, senza negare il potenziale destabilizzante e, in un certo senso, la carica polemica nei confronti di un ordine internazionale ritenuto iniquo, inefficiente e forse ancora troppo occidentale-centrico.

Per descrivere la sua ispirazione pastorale inclusiva, ma anche le dinamiche della politica internazionale, Francesco ricorreva spesso alla figura del «poliedro». Fin dalla sua prima esortazione apostolica, la Evangelii Gaudium del novembre 2013, il papa argentino invitava a rifuggire gli eccessi e gli squilibri della globalizzazione, ricordando appunto che «il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» (n. 236). La valorizzazione delle differenze, dunque, era per Bergoglio la base della necessaria cooperazione tra gli Stati per rispondere alle grandi sfide comuni, cercando di superare l’attuale paralisi del multilateralismo che certo non gli sfuggiva. Nella Laudate Deum (2023), esortava a valorizzare la sussidiarietà e il ruolo delle «potenze emergenti»: «proprio il fatto che le risposte ai problemi possano venire da qualsiasi Paese, per quanto piccolo, conduce a riconoscere il multilateralismo come una strada inevitabile» (n. 40), scriveva infatti, invitando a riformare le organizzazioni internazionali in modo che siano «dotate di una reale autorità per “assicurare” la realizzazione di alcuni obiettivi irrinunciabili. Così si darebbe vita a un multilateralismo che non dipende dalle mutevoli circostanze politiche o dagli interessi di pochi e che abbia un’efficacia stabile» (n. 35).

Coerentemente con queste linee programmatiche, la politica estera di Bergoglio ha sempre sfidato la tradizionale distribuzione del potere e del prestigio, ma soprattutto chi, a torto o a ragione, riteneva la Santa Sede allineata all’Occidente. Il primo papa sudamericano, infatti, ha sempre voluto mettere al centro le periferie, tanto del sistema internazionale quanto delle società, e rafforzare l’identità globale della Chiesa.

I suoi viaggi apostolici, per esempio, hanno toccato molte aree “calde”: nel 2015 ha voluto aprire il Giubileo Straordinario nella Repubblica Centrafricana; nel 2021 ha compiuto una storica visita in Iraq; nel settembre 2024 il viaggio più lungo del suo pontificato lo ha portato tra Oceania e Asia, continente visitato altre 13 volte e considerato centrale per il futuro della cristianità.

Probabilmente avverso al concetto di ‘grande potenza’ ma certamente ben conscio degli attori più rilevanti del sistema internazionale, Francesco ha coltivato un rapporto a tratti difficile con gli Stati Uniti, complici le fratture interne al cattolicesimo americano e la divergenza con le due amministrazioni Trump; prima dell’invasione dell’Ucraina, invece, si erano delineati diversi tentativi di approfondire la cooperazione con la Russia, sia sul piano dei rapporti con la Chiesa ortodossa sia, per alcuni aspetti, su quello geopolitico (si pensi al dialogo su Siria e Medioriente, specie all’inizio del pontificato). Non si può poi non ricordare l’accordo raggiunto con la Cina nel 2018 sulla nomina dei vescovi, che tuttavia è ben lontano dal colmare l’assenza di rapporti diplomatici tra Pechino e la Santa Sede.

In definitiva, il multipolarismo solidale di Francesco è certamente distante da quello che caratterizza le attuali relazioni internazionali, ma il suo pontificato ha saputo, sotto questo profilo, al tempo stesso incarnare e provare a contrastare lo spirito del tempo. Nella Evangelii Gaudium il defunto pontefice scriveva che «il tempo è superiore allo spazio», perché «iniziare processi» di lenta trasformazione è meglio che affannarsi a «occupare spazi» cercando di forzare la realtà a proprio piacimento (n. 223): sarà dunque il tempo a dire quanti processi avrà contribuito ad avviare, e con quali esiti. La sua figura, comunque, al di là delle personali convinzioni, difficilmente lascia indifferenti. 

 

Enrico Bianchi è dottorando in "Istituzioni e politiche" presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.

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