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Il futuro delle Città Metropolitane e le sfide del Pnrr

Il futuro delle Città Metropolitane e le sfide del Pnrr

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di Brunetta Baldi, Giulio Citroni, Martino Mazzoleni

 

Con l’avvicinarsi del decennale dell’approvazione della Legge Delrio n. 56 del 2014, il dibattito sulle Città Metropolitane (CM) sembra da un lato piuttosto flebile, dall’altro ancora del tutto aperto. Mentre scriviamo, il Governo discute di regionalismo differenziato e di poteri speciali per Roma Capitale, mentre l’opinione pubblica e i media sembrano sostanzialmente avere rimosso la questione metropolitana; giacciono in Parlamento diversi progetti di legge – di PD, FdI, Lega e Forza Italia – per la reintroduzione dell’elezione diretta dei/delle Presidenti di Provincia e dei Sindaci e Sindache metropolitane, in assenza però di un ripensamento di ruoli e strutture di governo. E non stupiscono questo silenzio e questa approssimazione se, d’altra parte, chi del tema si sta occupando sottolinea come il ruolo e il funzionamento delle CM siano ancora indeterminati, indefiniti, incompiuti.

Nove anni fa la Legge Delrio era intervenuta cercando di imprimere un cambio di passo alla riforma degli enti locali, trasformando le Province e creando le CM dopo un quindicennio di indirizzi altalenanti e difficili processi di attuazione. Pensiamo alle difficoltà incontrate fino dagli anni Novanta dalle fusioni dei Comuni, dalle Unioni di Comuni e dalle Comunità montane, ed emblematicamente dagli ambiti territoriali ottimali (ATO) per la gestione dei servizi pubblici locali, costantemente riformati, aboliti e ricreati da quasi ogni governo in carica. In un trentennio si è assistito a dinamiche contraddittorie di decentramento e ri-accentramento, a proclami legislativi mai attuati, a strumentalizzazioni politiche e a sperimentazioni mai seriamente valutate.

Rispetto ai precedenti tentativi di creazione delle aree metropolitane (1990 e 1999), il cambio di passo della Delrio fu evidente, giacché “decretava” la nascita delle CM con un tratto di penna. Questo avveniva però a discapito di un disegno chiaro e realistico di quale potesse essere il ruolo effettivo delle CM nell’ordinamento e nei processi di policy. La legislazione attuativa regionale avrebbe risolto solo in parte queste incertezze: il destino delle CM restava appeso a molte altre partite finanziarie e organizzative (tagli dei trasferimenti e blocchi del turn-over del personale), oltre che alle incertezze del contesto istituzionale – prima tra tutte la fallita riforma della Costituzione che accompagnava e integrava le novità introdotte dalla Legge Delrio.

Mentre quindi, come dicevamo, Parlamento e Governo si accingono a discutere regionalismo differenziato, elezioni dirette dei vertici esecutivi degli enti intermedi, e poteri di Roma Capitale, restano sullo sfondo dell’agenda di policy due questioni su cui la letteratura scientifica invece si interroga.

In primo luogo resta aperta la questione del tipo di funzioni delle CM e quindi del loro ruolo nell’ordinamento e nei processi di policy: tra un ruolo di governo e amministrazione simile a quello dei Comuni, cui si sostituirebbero nel medio termine nella gestione dei servizi (ad esempio con l’ingresso nelle municipalizzate o nella regolazione di ambito e di area vasta); e un ruolo invece di pianificazione strategica, del tutto proprio e originale, in cui i Piani territoriali e i Piani strategici siano il perno di una funzione di coordinamento di una governance inter-istituzionale e pubblico-privata.

La seconda questione aperta è quella territoriale; anche qui la Legge Delrio – per evidenti esigenze di speditezza dettate da un calendario di riforme incalzante – decise di non decidere, e decretò che i confini delle CM ricalcassero quelli delle preesistenti Province. Ampio però è ancora il dibattito sull’opportunità di ridefinire i confini per meglio adeguarli ai sistemi economici e funzionali o agli elementi geografico-ambientali, ma né dal legislatore né dagli attori locali sembrano emergere proposte concrete in tal senso.

Sono due aspetti non nuovi della questione. Già nel 1990 Bruno Dente riconosceva una “crisi intellettuale” del governo metropolitano: in crisi erano al contempo il concetto di governo e il concetto di metropoli. Il concetto di governo aveva storicamente incarnato sia l’attività del governare i processi sociali, sia le istituzioni incaricate di svolgere questa funzione; progressivamente, questa identità tra istituzione e funzione si stava indebolendo, e l’introduzione del concetto di governance descriveva proprio la natura complessa della funzione di regolazione sociale non più identificabile con le istituzioni governative. Nella governance la funzione di governo si distribuisce tra attori pubblici, privati e sociali, locali, nazionali e transnazionali; una riforma delle istituzioni non può quindi operare in una logica esclusivamente gerarchica e unitaria, ma deve porsi il problema di “governare la frammentazione” (l’espressione è sempre di Dente). D’altra parte anche il concetto di “metropoli” è ambiguo e problematico; Dente invita a distinguere tra almeno tre tipi diversi di metropoli che presentano bisogni e caratteristiche completamente diverse: il big village, un grande villaggio che necessita prevalentemente della fornitura di servizi; la urban region, regione urbana che richiede soprattutto pianificazione territoriale e strategica; o la capital city, città capitale che esprime il bisogno di servizi innovativi o altamente specializzati. Per non rischiare di “dare risposte giuste ai problemi sbagliati”, si proponeva allora di chiarire innanzitutto che tipo di metropoli si avesse di fronte e che tipo di funzioni di governo si volessero ad essa attribuire – insomma, quale fosse il fine della riforma – per poi interrogarsi efficacemente sui mezzi.

La ricostruzione dei contesti politici e istituzionali, la comparazione con le precedenti esperienze di programmazione e pianificazione territoriale, e lo studio dei processi decisionali e dei loro esiti permettono di indagare a che punto sia arrivata l’istituzionalizzazione di questi enti e come il PNRR possa essere fattore di consolidamento oppure di rottura del loro fragile equilibrio politico-amministrativo. Dentro questo quadro, l’impatto più importante del PNRR, testimoniato dallo studio dei Piani Urbani Integrati, è quello di mettere in luce quanto nell’ultimo decennio le diverse CM abbiano percorso strade differenti nel loro consolidamento, costringendo a una accelerazione questi processi grazie alle risorse di cui ha dotato questi enti.

 

Questo testo, scritto da Giulio Citroni, è un estratto dell’introduzione al volume Pnrr e Città Metropolitane. La sfida dei Piani Urbani Integrati di Brunetta Baldi, Giulio Citroni, Martino Mazzoleni, Polidemos-Educatt 2023.

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