Seán Molloy
Nei primi giorni della presidenza di Donald Trump si sono verificati una serie di scontri con alleati e altri Stati. Il primo vero scontro tra Trump e un alleato è stato il “dialogo infuocato” con il primo ministro danese Mette Frederiksen in merito all’acquisizione ostile della Groenlandia, un contenzioso che è stato descritto da alti esponenti politici europei come «orrendo» e «potenzialmente molto pericoloso». Lo scambio tra i due premier ha rappresentato un primo segnale della determinazione di Trump a imporre il dominio degli Stati Uniti sui loro alleati. Il dialogo con il Presidente appena rieletto ha messo in allarme la NATO e l’Unione europea. I danesi, stando a quanto riferito, sarebbero stati «completamente spaventati» dallo stile aggressivo della diplomazia di Trump. Anche il Canada è stato allarmato dal singolare stile diplomatico di Trump, che ha imposto e sospeso i dazi su uno dei suoi alleati più stretti e ha persino proposto di incorporare il suo vicino settentrionale negli Stati Uniti. Lo straordinario e recente incontro alla Casa Bianca tra Trump, J.D. Vance e Volodymyr Zelensky segna il culmine (fino a oggi) dello sforzo di vilipendere e intimidire gli alleati percepiti come deboli per affermare il dominio del potere statunitense su quelli che sembrano essere considerati Stati clienti piuttosto che alleati in quanto tali.
Le difficili conversazioni tra Stati in cui i potenti affermano la propria volontà sui meno potenti non sono una novità nella politica internazionale. Il caso paradigmatico, spesso citato da studiosi e diplomatici, è il Dialogo dei Melii e degli Ateniesi, raccontato dallo storico greco Tucidide nel suo resoconto della Guerra del Peloponneso. Nel tentativo di persuadere i Melii a unirsi alla loro alleanza contro gli Spartani, gli ambasciatori ateniesi oppongono al rifiuto dei rappresentanti della piccola isola di conformarsi ai desideri di Atene una minaccia agghiacciante: se non si adegueranno, verranno uccisi tutti gli uomini e ridotti in schiavitù le donne e i bambini di Melo. «Chi è più forte», sostengono gli Ateniesi, sicuri che i Melii si convinceranno della logica incontrovertibile della loro posizione, «fa quello che può e chi è più debole cede». Come i Danesi, i Melii erano spaventati dagli Ateniesi, ma decisero comunque di rimanere neutrali, nonostante il loro strapotere. Dopo aver appreso che i Melii non avrebbero accettato le loro richieste, gli Ateniesi portarono a termine la loro minaccia. Per il resto della guerra, gli Ateniesi agirono secondo la massima secondo cui i forti fanno ciò che possono o vogliono fare nei confronti di Stati neutrali, belligeranti e alleati.
La ripetuta insistenza di Trump sul fatto che l'Ucraina «non può fare a meno» degli Stati Uniti e che gli ucraini devono accettare che il loro destino dipenda dalla potenza e dalla continua buona volontà americana riecheggia la richiesta ateniese secondo cui i Melii non avevano altra scelta se non quella di fare ciò che la potenza maggiore imponeva loro. Secondo Trump, gli ucraini devono adeguarsi alle preferenze degli Stati Uniti in relazione alla guerra o rischiano la distruzione. L'America, come l'Atene del V secolo, è uno Stato potente la cui volontà deve essere obbedita da chi ha meno potere di lei: se l'America desidera un cessate il fuoco, l'Ucraina deve adeguarsi. A differenza degli Ateniesi nei confronti dei Melii, gli Stati Uniti non saranno l'agente della distruzione dell'Ucraina, ma non impediranno quella che considerano una sconfitta inevitabile e schiacciante, a meno che l'Ucraina non si pieghi alla loro volontà. Al centro delle richieste sia degli Ateniesi sia di Trump c'è la negazione del diritto di agire in modo autonomo agli Stati più deboli e l'affermazione del dominio da parte dei più forti.
La maggior parte delle analisi contemporanee del Dialogo dei Melii e degli Ateniesi si conclude con un invito ad ammirare o condannare lo spietato «realismo» degli Ateniesi. Tuttavia, una maggiore familiarità con il testo di Tucidide rivela un quadro più complicato e ricco di insegnamenti che gli americani, i loro rivali e i loro alleati farebbero bene a tenere in considerazione. La chiave per svelare la massima secondo cui i forti fanno ciò che possono e i deboli subiscono ciò che devono sta nel porsi la domanda: la posizione degli ambasciatori ateniesi a Melo è rappresentativa dell'opera di Tucidide nel suo complesso? Vogliamo davvero dedurre da Tucidide che il comportamento degli Ateniesi è semplicemente il modo in cui si svolgono le relazioni tra Stati deboli e Stati potenti? Che la Danimarca, per esempio, dovrebbe ascoltare le lezioni di Melo e capitolare per non incorrere nel costo di sfidare una potenza superiore? E che gli Stati Uniti, come Atene, non devono preoccuparsi di inezie come la sovranità danese sulla Groenlandia? O che l’Ucraina dovrebbe arrendersi agli Stati Uniti e accettare qualsiasi accordo che Trump riesca a concludere con Putin?
La lettura del Dialogo dei Melii e degli Ateniesi nel suo contesto rivela che Tucidide non intende trarre insegnamenti da esso; gli studiosi di realismo devono approfondire ulteriormente la loro analisi della Guerra del Peloponneso per trarre beneficio dalle considerazioni di Tucidide. Il primo elemento che il lettore deve riconoscere è che gli Ateniesi, spietati e adoratori del potere, hanno perso la guerra e Tucidide attribuisce la loro sconfitta, in gran parte, alla mentalità mostrata a Melo. Guidata dal ricco, carismatico e spregiudicato Alcibiade, la fazione in ascesa che gli amabasciatori ateniesi rappresentavano – il partito della guerra – era convinta che la ricchezza e il potere di Atene li rendessero invincibili. Se i loro alleati si opponevano alle richieste di un maggiore sostegno materiale e di un maggiore supporto, il potere ateniese, nelle sue molteplici forme, poteva essere impiegato per metterli con le spalle al muro.
La posizione ateniese a Melo si discostava in modo significativo dalla strategia suggerita da Pericle, il loro leader all'inizio della guerra e identificato da Tucidide (anche se non senza riserve) come uno dei grandi statisti dell'epoca. I consigli di Pericle ai suoi concittadini su come gestire gli altri Stati, soprattutto gli alleati, dovrebbero attirare l'attenzione del lettore contemporaneo di Tucidide almeno quanto il Dialogo dei Melii e degli Ateniesi. Pericle consigliò ad Atene di non spingere troppo in là le proprie ambizioni imperiali e di non correre rischi eccessivi mentre era impegnata in quella che, secondo lui, doveva essere una guerra breve e limitata con Sparta. Gli alleati dovevano essere trattati nel miglior modo possibile, in quanto rappresentavano una risorsa preziosa in caso di conflitto con potenze rivali. Secondo Tucidide, il dramma di Atene fu non aver ascoltato i consigli di Pericle. Inebriati dalla potenza e dall'arroganza dimostrata a Melo, l'eccesso di fiducia degli Ateniesi si tradusse in una serie di passi falsi disastrosi che portarono alla guerra non solo con Sparta, ma anche con la Sicilia e con l'Impero persiano alla fine della guerra. Atene si era alienata molti dei suoi alleati, alcuni dei quali erano in aperta rivolta contro di essa. La lezione di Tucidide è che l'adozione della massima secondo cui «chi è più forte fa quello che può e chi è più debole cede» portò al disfacimento della forza ateniese e a una cocente sconfitta da cui la città non si riprese mai. Secondo Senofonte, gli Spartani vincitori della guerra restituirono i Melii sopravvissuti alla loro isola.
Agendo senza prudenza e moderazione e alienandosi gli alleati, gli Ateniesi impararono a proprie spese che il semplice possesso del potere non è una panacea e che i forti possono subire le conseguenze delle proprie azioni quanto i deboli. L'equivalente più vicino ad Alcibiade, il non meno spregiudicato Donald Trump, non minaccia stragi di massa e schiavitù di danesi, canadesi e ucraini, ma si comporta come gli Ateniesi, lanciando ultimatum agli alleati perplessi che si allontanano sempre di più a ogni richiesta. Mentre il XXI secolo si sviluppa, gli Stati Uniti devono sempre più confrontarsi con superpotenze nascenti che minacciano di eclissarli e con le quali potrebbero benissimo entrare in conflitto, caldo o freddo che sia. La storia della Guerra del Peloponneso, come intendeva Tucidide, rimane una «un possesso che vale per l’eternità». Data la presenza nell'Amministrazione di un gruppo altamente qualificato di diplomatici e accademici esperti, ci si augura che almeno uno dei consiglieri di Trump e Vance possa e voglia tracciare un parallelo tra il disprezzo ateniese degli Stati con cui interagiva e l'attuale trattamento americano dei suoi alleati.
Mentre l'attuale titolare dello Studio Ovale e il suo potenziale successore valutano i primi giorni di questa amministrazione alla luce di un paragone con Atene, potrebbero rivalutare il trattamento riservato ai loro alleati e riflettere sul rischio che loro stessi o i futuri leader americani debbano imparare la lezione che anche i forti possono subire le conseguenze delle proprie azioni. Il potere, come ogni risorsa, può trasformarsi in una maledizione se non viene utilizzato con giudizio. Un uomo di Stato e il Paese che rappresenta devono trattare con prudenza gli alleati esistenti, come il Canada, la Danimarca e l'Ucraina, e farlo è più prezioso che non le trovate pubblicitarie a spese del «governatore» Trudeau o la gratificazione istantanea fornita da conferenze stampa che certamente forniscono «grande televisione», ma il cui contributo all'interesse nazionale è di dubbio valore.
Seán Molloy è Professore associato di Relazioni internazionali presso l'Università del Kent.
Questo contributo è stato pubblicato originariamente il 2 mazo 2025 su «Logos».