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"Hate crimes": il punto sui paesi Osce

"Hate crimes": il punto sui paesi Osce

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di Valerio Alfonso Bruno

 

La ONG lettone European Centre for Democracy Development ha recentemente pubblicato un interessante report pan-europeo Xenophobia, Minority Rights And Radicalisation In The Osce Area (2020-2022), curato da Valery Engel, sul tema diritti delle minoranze, manifestazioni e crimini di odio (hate crimes). Il report, che copre il periodo 2020-22, considera tredici Paesi OSCE, tra i quali Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Ungheria, Italia, Francia, Russia e Ucraina. Al report hanno contribuito importanti studiosi a livello internazionale di estremismo, quali Pranvera Tika, Balsa Lubarda, Barbara Molas, William Allchorn e Jean-Yves Camus, con la sezione sull’Italia curata da Anna Castriota della University of Northampton. Attraverso accurate statistiche sui crimini di odio ed analisi sulle attività di organizzazioni radicali ed estremiste, il report traccia un preciso quadro generale del livello del policy-making e delle pratiche di law enforcement riguardanti diritti delle minoranze, xenofobia ed estremismo, toccando aree del governo e della vita pubblica che influenzerebbero contesti e situazioni attraverso i quali si giungerebbe all’estremismo, e prendendo in considerazione i fattori che influenzerebbero la formazione della “domanda pubblica” di radicalismo, le manifestazioni di xenofobia e razzismo.  

Gli autori del report mostrano come nel periodo pandemico, nonostante le varie misure di quarantena e lockdown adottate dai governi per tentare di frenare la diffusione del Covid-19, non via sia stata una riduzione del numero di crimini d'odio. Anzi, nel periodo 2020-2022, tali crimini sono aumentati nei Paesi monitorati in media anche del 25-30%, con la maggior parte dell’aumento ascrivibile alla diffusione pervasiva dei discorsi e messaggi di odio online (online hate speech), facilmente osservabili, purtroppo, sulle piattaforme di molti social network.

Sempre secondo gli autori del report, il forte aumento dei crimini d'odio non sarebbe potuto avvenire senza l'aggravarsi degli atteggiamenti xenofobi avvenuto all’interno di un contesto fortemente influenzato dai processi sociali causati sia dal COVID-19 che dalla guerra in Ucraina. In primis, per quanto concerne il processo legislativo, va notato che nel periodo 2020-2022 non è stata adottata quasi nessuna nuova legge anti-immigrazione nei Paesi monitorati. Al contrario, sono apparse diverse iniziative legislative significative a tutela dei diritti dei migranti. Inoltre, si è assistito ad uno snellimento e ad una liberalizzazione della legislazione generale relativamente all’immigrazione, con l'eccezione della Francia (dove il percorso delle misure restrittive è rimasto invariato) e della Grecia (dove invece le regole per la concessione della cittadinanza sono state inasprite). Contrariamente alle previsioni, l'afflusso di milioni di rifugiati militari ucraini nei tredici Paesi analizzati dal report non ha causato violazioni di massa dei diritti dei migranti né ha portato al collasso dei servizi sociali e del mercato del lavoro di questi Paesi. Le misure straordinarie hanno permesso non solo di fornire sostegno alle persone in fuga dalla zona di guerra in Ucraina, ma anche di evitare gravi sconvolgimenti sociali. Allo stesso tempo, come sottolineano quasi tutti gli esperti, queste misure non sono paragonabili ai passi compiuti durante le cosiddette “crisi migratorie” del 2015 e del 2021, quando centinaia di migliaia di siriani, iracheni e afghani sono stati costretti a fuggire dai loro Paesi, verso l'Europa e l'America. Ancora una volta, ciò pare suggerire che i processi migratori attuali, almeno nei Paesi Osce, siano il prodotto di decisioni precipuamente politiche.

Per quanto riguarda il discorso sull’estremismo, a rendere più complesso il lavoro della legislazione e del law enforcement, a detta del report, vi è la sconfortante considerazione che ad oggi non esista un'unica definizione di estremismo accettata e condivisa a livello globale. Almeno tre modelli guiderebbero governi e policy-makers ed informerebbero la governance di organizzazioni regionali ed internazionali:

  1. Un modello cosiddetto "americano", il quale riconosce solo l'estremismo violento, cioè il terrorismo e tutto ciò che ad esso è collegato (compresa la propaganda, la giustificazione, l'addestramento dei terroristi), in quanto oggetto di azione penale;
  2. Un modello "europeo", che criminalizza non solo l'estremismo violento, ma anche il cosiddetto "estremismo d'odio", ossia la diffusione dell'odio, l’odio nei confronti non solo di singoli individui, ma anche di gruppi sociali;
  3. Un modello detto di "Shanghai", formulato a partire dal 15 giugno 2001 alla conferenza dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) in seno alla Convenzione sulla lotta al terrorismo, al separatismo e all'estremismo, e successivamente rivista nel giugno 2017. Tale modello considera l'estremismo come un modo "violento e incostituzionale" di risolvere "conflitti politici, sociali, razziali, nazionali e religiosi".

A detta degli autori del report, ogni modello avrebbe quindi pregi e difetti. Quello americano è estremamente pratico, tuttavia, focalizzandosi esclusivamente sugli atti violenti, trascura le dinamiche che in questi sfociano. Il modello europeo è invece spesso vago ed eccessivamente fumoso, in modo particolare sulle definizioni, come quella di “hate speech”. Infine, il modello di Shanghai, dichiarando estremista non solo l'incitamento all'odio razziale, etnico e religioso, bensì anche la “discordia politica e sociale”, e mancando di una base comune al principio di costituzionalità, de facto spalanca le porte all’incommensurabilità tra le politiche, con estremismi diversi in ogni Paese, a seconda delle specificità della legislazione nazionale.

In conclusione, in prospettiva di un possibile dibattito circa le best practices sulla prevenzione del radicalismo e dell’estremismo riguardanti xenofobia e diritti delle minoranze, da dove partire? Tralasciando il modello Shangai e le posizioni aporetiche alle quali conduce, il modello americano può senz’altro essere lodato in quanto ad efficienza ed immediatezza, tuttavia è limitato dal concentrarsi eccessivamente sulla dinamica violenta, o meglio più visibile della violenza. Diversamente, l’approccio europeo, seppur con evidenti limiti, ha il merito di non sottostimare né le dinamiche eterogenee che precorrono l’estremismo violento né l’estremismo non violento. A proposito di quest’ultimo, un’opera recente, l’Handbook of Non-Violent Extremism, curata da Elisa Orofino e William Allchorn (Routledge, 2023), ha esattamente il merito di riconoscerne l'importanza come “spazio liminale che precede gli atti di terrorismo, allo stesso tempo sostenendo che l'estremismo non violento si riserva un'area di studio a sé stante”.

 

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