editoriale

Gli italiani nella tempesta europea. Sfiduciati e polarizzati?

Gli italiani nella tempesta europea. Sfiduciati e polarizzati?

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di Damiano Palano

 

Il vento che da tempo gonfia le vele della destra radicale sembra diventare una tempesta. I risultati delle elezioni per il Parlamento europeo non hanno prodotto una maggioranza alternativa a quella uscente e non hanno sancito quella “svolta” che alcuni annunciavano alla vigilia del voto. Ma hanno senza dubbio registrato un ulteriore slittamento degli equilibri politici verso destra, in linea con una tendenza consolidata da circa un ventennio. Il primo turno delle elezioni politiche francesi, indette del Presidente Macron sull’onda della debacle subita dal suo partito alle europee, ha visto un’avanzata senza precedenti del Rassemblement National. E anche se non sappiamo ancora se al secondo turno reggerà il “cordone sanitario”, che finora ha tenuto il partito di Marine Le Pen fuori dall’area di governo, i risultati provenienti dalla Francia hanno confermato due elementi, che richiedono quantomeno un supplemento di riflessione. Innanzitutto, hanno mostrato, una volta di più, che la destra radicale esercita un fascino quasi irresistibile per una quota crescente di cittadini e che gli appelli alla storia hanno perso – soprattutto per le nuove generazioni – molto del loro potere evocativo. Al tempo stesso, quanto sta avvenendo in Francia ci consegna il quadro di una crescente polarizzazione. All’erosione delle forze di centro, legata in gran parte alla parabola della presidenza Macron, sembra essersi accompagnata una radicalizzazione degli elettorati, non solo verso destra, ma anche verso sinistra. E tanto l’appello all’unità antifascista, da una parte, quanto gli allarmi su un possibile governo della sinistra radicale, rendono il clima del confronto politico simile a quello tra avversari che contestano reciprocamente la loro piena legittimità a conquistare il potere.   

La polarizzazione che contrassegna oggi lo scenario francese ha motivazioni che affondano nella storia recente e lontana del paese. Ma ha sicuramente qualche tratto in comune con il panorama politico degli Stati Uniti, dove da tempo gli studiosi mettono in guardia contro i rischi della crescente polarizzazione e della delegittimazione dell’avversario cui essa di solito si accompagna. Ed è così quasi inevitabile chiedersi in che condizioni si trovi oggi l’Italia, se l’avvento al governo di Giorgia Meloni abbia innescato (o registrato) delle tendenze simili, e se dunque anche nel nostro paese gli elettori stiano radicalizzando le loro posizioni spostandosi verso gli estremi della destra e della sinistra.

I dati dell’Osservatorio sullo stato della democrazia italiana, avviato dal Centro Polidemos dell’Università Cattolica in collaborazione con Ipsos, forniscono a questo proposito qualche indicazione. L’indice di autoritarismo misurato dall’Osservatorio registra infatti una “temperatura” abbastanza bassa. Gli intervistati con tendenze più o meno fortemente autoritarie risultano essere cioè una minoranza piuttosto esigua (pari al 9%). E la maggioranza del campione appare nettamente ostile all’idea di un leader forte che, pur di realizzare i propri obiettivi politici, sia disposto a violare le regole. Non possono però essere sottovalutati altri elementi, che invitano a leggere i dati in modo più problematico. Per esempio, gli intervistati che, rispetto a un efficiente regime dittatoriale, dichiarano di preferire una società democratica, pur con tutti i suoi problemi, sono la maggioranza (55%), ma il dato fa registrare un calo significativo (del 6%) rispetto solo a sei mesi fa. Se fosse confermata, potrebbe trattarsi di una tendenza quantomeno rilevante.

Ci sono inoltre almeno due altri elementi utili per decifrare la condizione emotiva in cui si trova oggi buona parte della società italiana. Il primo è rappresentato da una profonda e all’apparenza inestirpabile sfiducia. Ed è rilevante perché non si tratta soltanto della sfiducia verso la politica e i suoi attori a cui siamo abituati da decenni. È infatti una sfiducia che investe le visioni del futuro e persino i rapporti interpersonali. Per molti versi non stupisce il fatto che una maggioranza schiacciante ritenga che i politici siano interessati soprattutto a preservare i loro privilegi (78%) o che gli interessi della classe politica siano in contrasto con il benessere della gente comune (71%). È invece forse più sorprendente – o comunque significativo – il fatto che molti pensino che le giovani generazioni siano destinate a un futuro peggiore dei loro genitori (69%), che l’Italia sia un paese in declino (58%), o addirittura che sia meglio non fidarsi degli altri (58%). Il dato è importante proprio perché non è legato strettamente alla dimensione politica, anche se naturalmente può influenzare gli orientamenti di voto (e dunque eventualmente il non voto). Si possono dunque ipotizzare iniezioni congiunturali di entusiasmo (per esempio, all’indomani delle elezioni). Ma è davvero molto difficile immaginare che la visione generale nei confronti del futuro possa cambiare segno, se non con tempi lunghi. Come sappiamo, una profonda sfiducia sistemica può rivelarsi una potente sostanza corrosiva per la stabilità delle istituzioni democratiche.

Un altro dato, che rappresenta per molti versi l’altra faccia della sfiducia, non può inoltre essere sottovalutato. Si tratta della percezione delle minacce che potrebbero insidiare il quadro democratico. Alla domanda su un possibile ritorno del fascismo, quote significative ritengono che sia un pericolo reale ma che al momento non riguardi l’Italia (19%) o che rappresenti solo un’eventualità teorica (27%). Quasi un quarto del campione (23%) risponde invece che sta già avvenendo (e il valore sale al 29% tra le generazioni più anziane). Un valore di questo genere indica implicitamente un livello consistente di polarizzazione. E per quanto la polarizzazione in Italia non sia un fatto nuovo, la convinzione che sia già in atto uno scivolamento autoritario potrebbe conferire alla contrapposizione fra i poli un’intensità più elevata rispetto al passato.

Ovviamente è presto per capire se anche in Italia si debba assistere a una radicalizzazione del confronto simile a quella cui ci hanno abituati gli Stati Uniti negli ultimi anni, o verso cui sembra oggi indirizzata la Francia. Ma si tratta di una tendenza da non sottovalutare e da monitorare anche in futuro.

 

Damiano Palano è Direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica e di Polidemos (Centro per lo studio della democrazia e dei mutamenti politici).

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