Redazione
Il World Happiness Report 2025 restituisce un quadro che sorprende: la classifica mondiale resta dominata dai paesi nordici, ma emergono inaspettate novità tra le economie “in sviluppo”; e soprattutto il rapporto tra felicità e “cura per gli altri” appare sempre più centrale. Anche quest’anno, al primo posto – per l’ottava volta consecutiva – c’è Finlandia, con un punteggio di 7,736 su 10. Seguono Danimarca, Islanda e Svezia. Il modello continuativo di welfare, coesione sociale, fiducia e sistemi di supporto resiste come benchmark globale. Ma la novità è che paesi di America Latina e aree non tradizionalmente allineate sui parametri “occidentali” entrano – per la prima volta – nelle prime dieci posizioni. Questo conferma che ricchezza materiale non equivalga automaticamente a benessere soggettivo. Un dato particolare: il rendimento straordinario della Finlandia – nonostante crisi economiche e difficoltà occupazionali – conferma che la “felicità” secondo WHR non è solo serenità o gioia momentanea, ma una valutazione stabile della propria vita.
Uno dei capitoli più innovativi del rapporto è dedicato al tema della benevolenza, della solidarietà, della fiducia reciproca. Il messaggio è chiaro: siamo troppo pessimisti verso la bontà altrui. E questo pessimismo danneggia il nostro benessere. Indagini sul campo mostrano che, quando qualcuno perde un portafoglio per strada, le probabilità reali che esso venga restituito sono circa il doppio rispetto a quanto le persone pensano. Un segnale forte: la fiducia soggettiva tende ad essere sottostimata.
Ma non è solo fiducia: fare del bene – donazioni, volontariato, aiutare sconosciuti – aumenta direttamente la felicità di chi compie l’atto, oltre che di chi lo riceve. Il concetto di felicità si amplia: non è più solo “soddisfazione per la propria vita”, ma una forma di benessere collettivo e relazionale. Le comunità che condividono, collaborano, aiutano: sono quelle che mostrano i risultati più resilienti, a ogni latitudine. In altri termini: la felicità individuale perde valore se è isolata – la vera felicità, secondo il WHR 2025, è comunitaria. Il rapporto conferma che la “felicità media” di un paese dipende da un insieme di variabili, tra cui:
- ricchezza pro capite (GDP per capita),
- aspettativa di vita in salute,
- supporto sociale,
- libertà di fare scelte di vita,
- generosità,
- percezione della corruzione.
Tuttavia, WHR 2025 ribalta una convinzione: non è la sola ricchezza o salute a generare benessere stabile. Il welfare, i legami sociali, la fiducia comunitaria, il senso di appartenenza e di mutuo aiuto risultano fondamentali, tanto da contendere, e spesso superare, il peso delle variabili economiche. Un’ulteriore evidenza riguarda le famiglie e le relazioni sociali intime: vivere con altri – famiglia o coinquilini – e condividere pasti, tempo, cura reciproca emerge come uno dei predittori più stabili di benessere soggettivo.

Il World Happiness Report 2025 offre una rivoluzione interpretativa. Non è più solo “quanto hai” o “quanto guadagni”, ma “quanto sei connesso”: con la tua comunità, con chi ti sta vicino, con chi ti circonda. “Care and sharing” non sono parole astratte: sono politiche sociali, struttura di welfare, fiducia reciproca. In un tempo segnato da crisi economiche, guerra, disuguaglianze, migrazioni, isolamento digitale. Il rapporto suggerisce che la risposta non sta solo in bonus o rivendicazioni materiali, ma nella cura reciproca, nella solidarietà diffusa, nei network sociali reali. Un modello che parla di cittadinanza, comunità, tessuto sociale e resilienza.
- Cambiano i parametri di “sviluppo” e “progresso”: il paradigma “ricchezza → benessere → felicità” si incrina. Il WHR 2025 mostra che ricchezza senza relazioni non basta.
- Emergono modelli alternativi: paesi latinoamericani e stati non-ocidentali (con forte coesione sociale, famiglie estese, cultura comunitaria) si dimostrano resilienti e felici. È un invito a guardare oltre il modello nord-europeo.
- Cambia il ruolo delle politiche pubbliche: non solo sanità o PIL, ma welfare sociale, supporto comunitario, politiche per la convivialità, coesione e fiducia.
- Ridisegna la mappa del benessere soggettivo globale: da ieri misurabile solo con parametri “tradizionali” (economia, salute), oggi ampliato a dimensioni sociali, comunitarie, relazionali.
- Mappa i Paesi più felici 2025: evidenzia la Finlandia in cima e la forte presenza di paesi nordici e alcuni non-occidentali nel top 10.
- Infografica “Caring & Sharing”: illustra la correlazione tra generosità, atti di benevolenza (donazioni, volontariato, restituzione portafogli) e il benessere individuale e collettivo.
- Grafico Supporto sociale / Happiness by country: mette in relazione la misura di supporto sociale/percezione di fiducia con il punteggio di felicità, dimostrando che dove social support e fiducia sono alti, lo è anche il benessere.
- Famiglia e coesione domestica: una rappresentazione del legame tra dimensione del nucleo abitativo, condivisione di pasti o tempo insieme, e livelli di soddisfazione personale.
Usare un indice globale significa consolidare modelli di felicità che possono ignorare variabili culturali, identitarie, soggettive. Benevolenza, socialità e fiducia non si manifestano allo stesso modo in tutte le culture: attenzione a non universalizzare un modello “Occidentale + welfare”. Il paradosso del benessere economico senza comunità: molte società ricche ma individualiste mostrano punteggi di felicità medi o in calo. Questo pone una sfida politica e sociale: come costruire comunità solide in contesti di mobilità, individualismo e crisi demografica.
Se la felicità dipende da relazioni, fiducia e cura reciproca, quali politiche possono favorirle, in un mondo globalizzato, urbano, digitale? Come ripensare welfare, diritti sociali, coesione e cittadinanza per una felicità diffusa, non solo economica? Il World Happiness Report 2025 non offre ricette immediate: ma propone una diagnosi e una visione alternativa al paradigma dominante. Al di là del PIL, del reddito, del consumo, la felicità si costruisce con le mani, il tempo e il cuore. E forse, più che nuove tabelle economiche, serve una nuova economia del bene comune, del dono, della comunità.