Negli ultimi anni il diritto antidiscriminatorio si è arricchito di nuovi strumenti volti a promuovere ambienti più equi e inclusivi, soprattutto attraverso le politiche di Diversity, Equity and Inclusion (DEI). Questi strumenti, pur rimanendo fortemente ancorati alla tradizione giuridica dei diritti civili, hanno rappresentato un’evoluzione significativa nel modo in cui l’eguaglianza viene perseguita sul piano normativo. Tuttavia, la recente inversione di rotta operata dalla nuova amministrazione statunitense, con provvedimenti che limitano o aboliscono iniziative DEI in ambito accademico e pubblico, solleva interrogativi profondi sul futuro di queste politiche e sul ruolo che il diritto può (o deve) giocare in questo campo. Ne abbiamo parlato con Matteo M. Winkler, professore alla HEC di Parigi, protagonista della lezione aperta svoltasi in Università Cattolica del Sacro Cuore lo scorso giovedì 8 maggio, nell’ambito del Modulo “Jean Monnet” EU-Media Freedom.
In che modo le politiche DEI si sono integrate – o hanno faticato a integrarsi – con il quadro tradizionale del diritto antidiscriminatorio statunitense?
Le politiche di Diversità, Equità e Inclusione (DEI) negli Stati Uniti sono nate nei primi anni Sessanta del secolo scorso per iniziativa degli esperti delle risorse umane delle grandi aziende americane, sulla spinta delle politiche antidiscriminatorie inaugurate dal Congresso e dal Presidente Lyndon Johnson. In particolare, il Titolo VII del Civil Rights Act del 1964, che vieta discriminazioni basate su razza, genere, religione o origine nazionale, ha rappresentato il carburante che ha messo in moto quella macchina delle pari opportunità che oggi si chiama DEI, con alla guida i direttori delle risorse umane e, in seguito, gli esperti di DEI. Iniziative e politiche si sono moltiplicate nel corso dei decenni fino a sviluppare un forte “business case” (“la DEI fa bene all’azienda”) e un indotto economico amplissimo. Nel 2025, però, l’Amministrazione Trump ha sancito un cambio radicale di rotta in materia, vietando ai fornitori del governo federale di adottare “pratiche DEI illegali”, un’espressione che sta generando non pochi problemi alle aziende di tutto il mondo. Questa avversione per la DEI è parte della narrazione populista americana che propaga la falsa idea dell’élite dominante, composta principalmente da uomini bianchi, ricchi e con passaporto americano, come una vittima discriminata di politiche scellerate a favore delle minoranze. Bisogna essere chiari su questo punto: le politiche DEI aziendali, e anche quelle supportate e promosse dalle Amministrazioni precedenti (da Johnson fino a Obama e Biden), non imponevano quote (che sono sempre state contestate) ma tentavano semplicemente di allargare l’accesso al mondo del lavoro a individui appartenenti a comunità marginalizzate o contesti non privilegiati. Questo mondo, che sperava di diminuire le disuguaglienze che hanno raggiunto livelli insostenibili, è ora superato.
A livello giuridico, quali sono i principali strumenti normativi che l’amministrazione ha utilizzato per smantellare o ridimensionare le politiche DEI?
Per smantellare le politiche DEI, l'amministrazione Trump ha utilizzato principalmente due ordini esecutivi. Il primo, l'Executive Order 14151 del 20 gennaio 2025, ha ordinato la chiusura di tutti gli uffici e programmi DEI nelle agenzie federali, la sospensione dei dipendenti coinvolti e la cessazione dei finanziamenti per iniziative legate all'equità. Il secondo, l'Executive Order 14173 del 21 gennaio 2025, ha revocato l'Executive Order 11246 del 1965 del Presidente Johnson, eliminando l'obbligo per i contraenti federali di adottare azioni positive e richiedendo ai contraenti federali di certificare di non effettuare “pratiche DEI illegali”. Questi ordini esecutivi hanno portato alla chiusura di uffici, al licenziamento di personale e alla revisione di contratti e sovvenzioni federali, suscitando preoccupazioni tra le organizzazioni e i dipendenti colpiti. Altre iniziative sia federali sia statali si sono rivolte ai privati, condizionandone le iniziative DEI. Molti degli executive order incriminati sono tuttora contestati davanti alle corti federali, con risultati variabili nel tempo.
Ritiene che l'attuale offensiva contro le politiche DEI metta in discussione principi costituzionali consolidati?
Certamente sì. Anche se alcune ricerche (penso al libro di Frank Dobbin e Alessandra Kalev, Getting to Diversity. What Works and What Doesn’t, pubblicato da Harvard University Press nel 2022) hanno dimostrato che non tutte le iniziative DEI aziendali funzionano realmente o garantiscono effettivamente un bonus economico in termini di produttività e profitto, rimane tuttavia chiaro che non può esserci innovazione e creatività senza diversità e inclusione. Inoltre, le aziende svolgono un ruolo nelle società e pertanto, se vogliono operare in modo responsabile, devono far fronte alle domande di giustizia sociale ed equità avanzate da comunità vulnerabili o provenienti da contesti non privilegiati. Il mutamento di narrazione ad opera dell’Amministrazione Trump mette in pericolo tutto questo, e sarà difficile porvi rimedio nel breve periodo. Faccio un esempio concreto: molte aziende hanno cancellato dai loro siti tutti i riferimenti alle politiche DEI per sostituirli con termini più generici come “inclusione e appartenenza” (inclusion and belonging) e simili. Si va verso un arretramento della lotta contro le disuguaglianze.
Che impatto può avere questo cambio di rotta sull’evoluzione della giurisprudenza in materia di eguaglianza e diritti civili negli Stati Uniti?
La giurisprudenza, purtroppo, fa proprio parte del cambio di rotta. Dico “purtroppo” perché la Corte Suprema, che in altri ambini si à dimostrata molto progressista, negli ultimi anni ha messo la marcia indietro. La narrazione della DEI come divisiva e discriminatoria viene proprio da una sentenza della Corte Suprema che ha dichiarato incostituzionali le procedure di ammissione ad Harvard perché imponevano agli esaminatori di considerare la “razza” dei candidati come un fattore rilevante. Il risultato è che per rafforzare il principio di non discriminazione si è deciso, paradossalmente, di censurare le discussioni sulle disuguaglianze.
Dal punto di vista comparato, quali insegnamenti possiamo trarre per i sistemi europei osservando quanto sta accadendo negli USA?
Un insegnamento solo, per noi Europei: non fare come in America.
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