Redazione
In un mondo segnato da “incertezza radicale”, come lo definisce il rapporto, la democrazia globale vive una fase di forte tensione e fragilità. L’edizione 2025 del “Global State of Democracy” (GSoD) esplora non solo i trend generali della performance democratica nei Paesi, ma dedica particolare attenzione alla relazione tra democrazia e migrazione: in che modo i movimenti transnazionali, la condizione degli emigrati e dei migranti, e il diritto di voto all’estero influenzano la resilienza democratica.
Una prima, allarmante constatazione: oltre la metà dei Paesi esaminati hanno mostrato un peggioramento in almeno uno degli aspetti chiave della democrazia nell’arco degli ultimi cinque anni. In particolare, la componente “rappresentanza” – che fino ad ora risultava il più forte fra gli elementi misurati – ha registrato nel 2024 il suo peggior risultato da oltre vent’anni, con un numero di Paesi in calo circa sette volte superiore a quello dei Paesi in miglioramento. Anche la libertà di stampa ha conosciuto un calo drammatico: in un quarto dei 174 Paesi valutati, si è registrato il peggioramento più accentuato in cinquant’anni.
L’ambiente internazionale – caratterizzato da crisi sanitarie, mutamenti climatici, conflitti, migrazioni di massa e trasformazioni tecnologiche – contribuisce ad aumentare i rischi per le istituzioni democratiche: è più difficile mantenere stabilità e crescita, e le democrazie sono chiamate a gestire maggiore complessità in condizioni di incertezza.
Dal punto di vista regionale, il rapporto documenta che anche regioni storicamente più stabili non sono immuni dal deterioramento. Per esempio, l’Europa registra un numero crescente di Paesi in peggioramento, mentre l’America Latina segnala declini nella qualità democratica soprattutto per quanto riguarda lo Stato di diritto e le libertà civili.
La grande novità dell’edizione 2025 è l’attenzione focalizzata sul rapporto fra democrazia e mobilità delle persone: sia alla migrazione come fenomeno di massa (gli emigrati internazionali sono triplicati dal 1970) sia alla dimensione “democratica” della mobilità: diritti di voto all’estero, partecipazione politica di migranti, e le implicazioni istituzionali di un corpo elettorale mobile.
Il rapporto evidenzia che un sistema politico che riconosce i diritti politici dei suoi cittadini all’estero – attraverso framework legali adeguati, metodi di voto efficaci – può rafforzare la resilienza democratica; tuttavia, in molti casi queste disposizioni restano incomplete, con bassi tassi di partecipazione da parte dei residenti all’estero. Inoltre, l’interazione tra migrazione e democrazia non si limita al voto: i migranti, loro stessi o i Paesi di destinazione, partecipano a processi politici e sociali che modificano le dinamiche democratiche, incluse le politiche di inclusione, le rappresentanze, le identità civiche e le istituzioni locali. In questo senso, il rapporto invita a considerare come le istituzioni democratiche debbano adattarsi per rimanere inclusive e rappresentative in un mondo in movimento.
Il quadro tratteggiato dal rapporto è ricco di segnali di allarme:
- L’indebolimento della rappresentanza politica significa che i cittadini sono sempre più esclusi dai processi decisionali o percepiscono di esserlo;
- Il calo della libertà dei media e dell’informazione riduce la capacità della società civile di controllare il potere;
- Le elezioni – pur restando un momento centrale della democrazia – mostrano segni di stress crescente: contestazioni, dubbi sulla trasparenza, pressioni esterne o disinformazione. (Anche se i dati specifici per l’edizione 2025 non sono tutti esplicitati nella sintesi pubblica, il rapporto richiama la persistenza del fenomeno).
- Il mondo della mobilità pone sfide istituzionali: se da un lato la mobilità può rappresentare un’opportunità di estensione della cittadinanza politica, dall’altro impone alle democrazie di riorientarsi su dimensioni extra-territoriali, complicando il concetto tradizionale di demos e di partecipazione radicata.
- L’ordine internazionale, compreso l’impegno degli Stati-Uniti come “promotore globale della democrazia”, viene messo in discussione, aumentando il grado di “insicurezza democratica” nell’arena globale.
Il rapporto non si limita alla diagnosi: nella parte conclusiva (“The way ahead”) propone indicazioni operative per attori pubblici, società civile e comunità internazionale. Altri elementi-chiave:
- Migliorare i quadri legali e le pratiche relative al voto all’estero e la partecipazione politica dei migranti: rendere il voto più accessibile, trasparente, affidabile.
- Rafforzare la rappresentanza politica e far sì che le istituzioni rispondano alle nuove realtà demografiche e mobilitative, nonché ai cambiamenti tecnologici e sociali.
- Rinforzare la libertà di stampa, l’apertura dei media, lo spazio civico, come pilastri della democrazia e della capacità della società di agire da controllore del potere.
- Gli Stati e le istituzioni globali devono riconoscere che la mobilità delle persone non è un tema marginale rispetto alla democrazia: le democrazie devono porsi la questione di come “funzionare” in un mondo mobile, e ridefinire le interfacce cittadini-istituzioni, territori, diaspora, etc.
- Promuovere una cultura democratica che “prenda sul serio” la partecipazione e l’inclusione transnazionale, facendo in modo che i cittadini — ovunque si trovino — possano esercitare diritti e doveri politici.
Il rapporto insomma suggerisce che la democrazia non è solo questione di istituzioni nazionali stabili, ma richiede adattamento alle trasformazioni globali: mobilità, migrazione, integrazione, identità multiple.
Il rapporto “The Global State of Democracy 2025” fa un passo importante nel mettere a fuoco non soltanto se la democrazia regge, ma come si trasforma in un mondo in rapido mutamento. La mobilità delle persone — migranti, espatriati, diaspora — viene identificata non come un fenomeno marginale, bensì come una variabile centrale della tenuta democratica. Tuttavia, la diagnosi resta severa: la democrazia globale è in affanno, con più Paesi in regressione che in avanzamento, e con istituzioni che faticano a reggere gli urti della complessità contemporanea. Il messaggio è chiaro: la democrazia «non è statica», e richiede non solo vigilanza ma innovazione istituzionale e capacità di adattamento.