editoriale

Democrazia e pace: un'alleanza da preservare

Democrazia e pace: un'alleanza da preservare

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Antonio Campati

 

Monitorare lo stato di salute della democrazia italiana è uno dei compiti più interessati e complessi allo stesso tempo. È certamente interessante perché consente spesso di cogliere alcuni cambiamenti che avvengono in profondità; complesso perché le variabili da tenere in considerazione sono davvero molte. La terza rilevazione dell’Osservatorio sulla democrazia in Italia promosso da Polidemos-Ipsos Doxa tenta di trovare una sintesi, individuando alcuni temi rilevanti attorno ai quali concentrare l’attenzione in maniera costante. Il primo è il giudizio delle italiane e degli italiani sul funzionamento della democrazia: il 53% sostiene di essere molto o abbastanza d’accordo con l’idea che è ora di cercare un modo diverso per governare l’Italia. Pochi mesi fa, nel dicembre 2024, la percentuale era di otto punti inferiore (45%). È un dato in crescita che però non deve indurre a fare considerazioni affrettate: alla richiesta di specificare i modi attraverso i quali migliorare la qualità della democrazia italiana, una fetta significativa, poco più della metà (52%), indica la necessità di stimolare ulteriormente la partecipazione, per esempio attraverso forme dirette come il referendum e solo il 16% pensa che la soluzione sia la concentrazione del potere nelle mani del governo e del suo leader. Emerge dunque una lettura più completa relativa alla generica insoddisfazione per la democrazia di cui si parla molto negli ultimi anni. Eppure, è evidente una contraddizione: al desiderio di partecipazione non corrisponde un relativo tasso di affluenza alle elezioni o alle consultazioni referendarie. È dunque urgente approfondire cosa le italiane e gli italiani intendano per partecipazione diretta, quindi quelle che vengono chiamate forme alternative di partecipazione, che hanno nel web il principale (non l’unico) canale di sfogo. Le nuove frontiere della partecipazione democratica dovranno essere ulteriormente esplorate.

L’indagine si è poi focalizzata sul rapporto democrazia e pace. I dati hanno confermato che in Italia c’è uno zoccolo duro di pacifismo: il 67% è poco o per niente favorevole all’aumento delle spese militari e solo il 18% molto o abbastanza favorevole. Dato, quest’ultimo, che diminuisce se l’aumento degli investimenti dovesse andare a intaccare sanità e istruzione. Le organizzazioni no-profit, la Chiesa cattolica e il volontariato sono considerati tra i principali attori nella costruzione della pace. Così come è riconosciuto un ruolo importante alle università (al quarto posto), soprattutto per la loro missione educativa e per lo sviluppo di progetti di ricerca internazionali. Le priorità emerse per garantire la pace nel mondo sono la promozione di un sistema di libero scambio, la creazione di un sistema economico equilibrato e giusto e il rafforzamento delle democrazie a livello globale.

Leggendo con un pizzico di ottimismo questi dati, la sensazione che si prova è che la società italiana è ben consapevole dell’importanza di vivere in un regime democratico, dove, tra l’altro, ai corpi intermedi viene riconosciuta un’azione migliorativa per la sua qualità (43%) e dove la pace è un valore primario. Si può agevolmente presumere che le classi dirigenti siano consapevoli di un quadro del genere. Ma a loro è richiesto un impegno ulteriore, perché per garantire un rafforzamento della democrazia (in un mondo pieno di minacce contro essa) non è sufficiente esprimersi contro la guerra e per la pace, per il pluralismo e contro l’accentramento del potere. Alle classi dirigenti è chiesto di mantenere le condizioni affinché pace e democrazia siano mantenute: ciò comporta, talvolta, fare scelte controcorrente, eventualmente non premiate nell’immediato dai sondaggi, ma coerenti con una visione chiara di cosa si intenda fare nel futuro prossimo. Non è certamente un compito facile, ma è utile ricordarlo.

 

Antonio Campati è ricercatore in Filosofia politica presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.

 

Questo editoriale è apparso su Avvenire giovedì 30 ottobre 2025

 

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