Intervista

Verso una “collaborative democracy”?

Verso una “collaborative democracy”?

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di Francesco Morici*

 

Il 9 e 10 febbraio scorsi, Alberto Bitonti, Lecturer of Politics dell’Università della Svizzera Italiana, ha tenuto due lezioni all’interno del modulo di Teoria politica della Scuola di dottorato in Istituzioni e politiche. I due incontri – intitolati rispettivamente Influenzare il potere: il ruolo dei gruppi di interesse e Le lobby salveranno la democrazia? – erano organizzati in collaborazione con Polidemos (Centro per lo studio della democrazia e dei mutamenti politici). Sono stati affrontati vari temi – dalla parità di accesso dei gruppi di interesse ai luoghi decisionali, al ruolo dell’attività di lobbying nella democrazia – che vanno nella direzione di identificare la sagoma di una inedita “democrazia collaborativa”.

 

Professore, alla luce degli eventi recenti degli scandali Uber e Qatargate e di una retorica alimentata dai movimenti populisti, l’opinione pubblica confonde sempre di più l’attività di lobbying con la corruzione o con comportamenti opachi da parte dei portatori di interesse. Con quali strumenti le istituzioni accademiche da una parte e la politica dall’altra possono rispettivamente spiegare e regolamentare l’attività del lobbying, in particolare nel nostro Paese?

 

Quando si parla di questi temi vi è sempre una grande confusione terminologica. Noi studiosi dovremmo aiutare il dibattito pubblico, cercando di spiegare meglio la distinzione concettuale tra la corruzione e l’attività di lobbying. La prima implica che un soggetto fornisca dei soldi o prometta favori ad un decisore pubblico per convincerlo ad operare illegalmente, mentre la seconda è una legittima attività pubblica di pressione sui luoghi decisionali, basata sulle argomentazioni e sullo scambio di informazioni. Spesso, quando parliamo di lobbying, il problema più evidente riguarda la parità di accesso ai decisori pubblici. In chiave di regolazione è dunque auspicabile non tanto un approccio che vieti o restringa l’accesso dei gruppi di interesse, ma uno che permetta a tutti i gruppi di contribuire alla pari alle decisioni pubbliche, aumentandone la qualità.

 

Il tema della seconda lezione è formulato attraverso un chiaro interrogativo: le lobby salveranno la democrazia? In un momento storico in cui i partiti e i corpi intermedi (per esempio, i sindacati) vivono una forte crisi di legittimità, quale può essere il contributo da parte dei gruppi organizzati di rappresentanza di interesse al rafforzamento del sistema democratico? In quale misura e con quali modalità la democrazia può coinvolgere questi gruppi nel processo decisionale?

 

Viviamo in un’epoca in cui la società ha un modo molto più fluido di creare rappresentanza di interessi, compito che in passato era nelle mani di grandi organizzazioni di massa. Oggi, per un decisore politico è davvero difficile mettersi in contatto con la società. Quindi, è necessario ricostruire i processi democratici partendo proprio dal riconoscimento della diversità di voci presenti nella società. L’obiettivo dovrebbe essere quello di inserire tali voci quanto più possibile all’interno di procedure che possano valorizzare il contributo positivo di ogni gruppo, in particolare dei cosiddetti outsider. La tecnologia può essere un valido strumento di aiuto nella costruzione di queste nuove procedure. L’idea di fondo è quella di arrivare a quella che io chiamo “democrazia collaborativa” o “open lobby democracy”: aprire l’anticamera del potere alla diversità delle voci presenti, cercando di valorizzare i gruppi di interesse. Bisogna riconoscere tali gruppi come realtà di fatto e realizzare delle procedure che permettano di distinguere il merito delle proposte, diminuendo il peso che deriva dall’influenza economica o politica dei diversi gruppi.

 

Lei ha a lungo studiato la rappresentanza organizzata degli interessi in Europa e nel mondo, collaborando a uno studio comparato dell’attività di lobbying in 28 Paesi europei (Lobbying in Europe. Public Affairs and the Lobbying Industry in 28 EU Countries). Quali sono gli elementi generali che caratterizzano l’attività di lobbying nel Vecchio Continente e quali invece le differenze più importanti? Quali sono gli insegnamenti che l’Italia può imparare dagli altri Paesi?

 

Tra le tendenze analizzate nello studio citato emerge come gli esecutivi abbiano sempre più potere rispetto agli organi legislativi. Di conseguenza cambiano anche i luoghi decisionali più importanti, passando dai parlamenti ai ministeri. Un’altra caratteristica è la comune percezione negativa dell’attività di lobbying da parte dell’opinione pubblica dei diversi Paesi. L’insegnamento che si può trarre è quello di creare una regolazione intelligente che non assuma un approccio moralistico, che si concentri esclusivamente sulla trasparenza dei gruppi di interesse, ma garantisca a quest’ultimi sia la parità di accesso sia l’accountability delle decisioni dei policymaker. Ad esempio, il Paese a cui si deve la parola “lobby”, il Regno Unito, ha creato un registro dei soli lobbisti consulenti. Tale registro, purtroppo, ignora le migliaia di lobbisti in-house che lavorano per singole organizzazioni, concentrandosi invece su una sola categoria. L’Italia può trarre molti insegnamenti da un approccio comparato a livello europeo.

 

Per concludere, professore quali letture consiglia per approfondire ulteriormente i temi fin qui affrontati?

 

Vi sono diversi studi che riescono a mettere da parte giudizi di valore, concentrandosi sui concetti alla base dell’attività di lobbying. Consiglio sicuramente il manuale di Andrea Pritoni Politica e interessi. Il lobbying nelle democrazie contemporanee, gli studi di Pierluigi Petrillo, e mi permetto di segnalare anche alcuni miei articoli pubblicati su "Italian Political Science Review" e "Diritto Pubblico Comparato ed Europeo", ma soprattutto la Palgrave Encyclopedia of Interest Groups, Lobbying and Public Affairs (di cui sono uno dei curatori).

 

Alberto Bitonti è autore del saggio The Potential of Collaborative Democracy pubblicato sull’ebook n. 3 della collana Polidemos dal titolo “Democracy and Disintermediation. A Dangerous Relationship”.

 

* Studente del Corso di Laurea Magistrale in Politiche Pubbliche

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