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Albania: quando la campagna elettorale si trasforma in spettacolo

Albania: quando la campagna elettorale si trasforma in spettacolo

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Vera Tika

 

L'11 maggio 2025 si sono tenute le elezioni parlamentari in Albania, che hanno visto la netta riconferma del premier socialista Edi Rama con il 52,1% dei voti, contro il 32,93% della coalizione avversaria, a fronte di un’affluenza poco superiore al 41%. Questo evento ha così riportato all’attenzione alcuni fenomeni di lunga data della politica elettorale, accompagnati da nuove forme di comunicazione che richiedono una lettura critica e una riflessione approfondita. Il fenomeno della trasformazione della competizione elettorale in spettacolo, dove la sostanza politica viene sostituita dalla forma della messa in scena mediatica, è emerso in modo particolarmente evidente in alcuni casi in cui la candidatura vincente non si è distinta per idee o programmi, bensì per strategie costruite sull’effetto virale e la derisione pubblica dell’avversario. Forse, d’ora in avanti, questo sarà riconosciuto e studiato come il ‘fenomeno Zegjine’.

Durante questo periodo, si è osservato un uso intensificato dei social media come strumento per costruire narrazioni che si allontanano dal contenuto politico e si orientano verso una forma di comunicazione che punta alla “messa in ridicolo” come arma elettorale. Strategie basate su montaggi ironici e un’estetica costruita su questa sensazione hanno contribuito a creare un’atmosfera in cui il dibattito politico non mirava più a chiarire le idee del cittadino, ma a intrattenerlo. Queste tattiche non sono passate senza contestazioni; al contrario, all’interno dello stesso campo della maggioranza si sono levate voci critiche, dimostrando che la sensibilità pubblica verso la qualità del dibattito non è del tutto svanita e che esiste ancora una chiara distinzione tra opposizione argomentata e banalizzazione della democrazia.

Tuttavia, il fatto che questa strategia abbia funzionato e sia diventata centrale nell’attenzione pubblica dimostra chiaramente che non si tratta di un’eccezione, ma della sintomatologia di un processo più profondo. Colin Crouch ha definito questo passaggio come post-democrazia: una realtà politica in cui le istituzioni formali, i partiti, le elezioni e i discorsi rimangono in piedi, mentre la sostanza democratica, lo spazio del vero dibattito e del confronto serio tra alternative viene sostituito dalla gestione dell’immagine e dalla manipolazione dell’attenzione.

Il fenomeno ‘Zegjine’, in questa prospettiva, è una forma localizzata di un modello più ampio che da anni produce forme simili in Europa. Non è un caso che, in passato, Berlusconi in Italia abbia trasformato la politica in una piattaforma di spettacolo televisivo, usando lo schermo per spostare il dibattito nei formati dell’intrattenimento di massa. Oggi, leader e figure pubbliche in diversi paesi dell’Europa Centrale e Orientale, di sinistra o di destra, seguono la stessa logica: i confronti programmatici vengono sostituiti da provocazioni, video, meme e narrazioni personalizzate che parlano più all’emozione istantanea che al ragionamento critico.

In questo schema, l’Albania non è più un caso periferico isolato, ma parte di una catena in cui algoritmi, frammentazione dell’informazione e cultura dell’attenzione frammentata accelerano il declino della sostanza politica. Il video elettorale diventa più convincente del piano di sviluppo. La visibilità diventa più importante della responsabilità. Il montaggio ironico prende il posto della parola ponderata.

Alla fine, la domanda non è come si giustificheranno i protagonisti, ma come la società affronterà questa normalizzazione della politica come prodotto d’intrattenimento. Lo spettacolo, che un tempo era uno strumento periferico della propaganda, oggi si presenta come sostituto del contenuto. Ogni “clic” che rafforza questa logica è un voto in più per mantenere in vita una post-democrazia in cui l’ironia è più forte dell’argomentazione e in cui la responsabilità rimane sempre un passo indietro rispetto alla rappresentazione.

Modelli di questo tipo — da Berlusconi fino a molti giovani leader che utilizzano il linguaggio dei social come campo di battaglia spettacolare — mostrano che il vuoto non ha più confini geografici. La domanda essenziale resta quale sia la capacità di ricostruire lo spazio democratico come luogo di idee e responsabilità, e non come scena di una serie infinita.

 

Vera Tika è ricercatrice presso il Centro di ricerca politica dell'Università Panteion di Scienze sociali e politiche di Atene.

 

Foto di Marco De Hevia su Unsplash

 


 

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