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Achtung Europa: il voto in Germania e i tabù da sfatare

Achtung Europa: il voto in Germania e i tabù da sfatare

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Fabio Rondini

 

Le elezioni federali tedesche del 23 febbraio 2025 hanno decretato la vittoria della CDU/CSU, che si è affermata con il 28,6% dei voti, seguita dalla Afd con il 20,8% e dalla SPD, che ha totalizzato il 16,4%. I Verdi si sono attestati al quarto posto con il 11,6% e Linke al quinto con l’8,8%. Rimangono fuori dal Bundestag sia la Bsw sia i Liberali dell’FdP, che non hanno raggiunto la soglia di sbarramento del 5%. La campagna elettorale tedesca è stata caratterizzata da eventi che hanno portato molti analisti ad interrogarsi sulle prospettive future del modello politico ed economico tedesco, che è apparso da tempo in crisi.

A livello esterno, la campagna elettorale si è incardinata in un contesto internazionale di regime change: non solo per l’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca, ma anche di un anno trascorso (il 2024), caratterizzato da numerosi appuntamenti elettorali (dalle elezioni europee, a quelle francesi, austriache, inglesi e, in Germania, nei due Lander di Sassonia e Turingia). Una sorta di stress test che ha rimescolato le carte politiche dello scacchiere europeo e globale. Il ruolo esercitato dalla Germania in Europa e nel mondo appare in crisi: in assenza di leader carismatici del calibro di Angela Merkel o Helmut Kohl, manca la forza politica tedesca necessaria per incidere nell’agenda europea e mondiale. Tale vuoto di personalità è accompagnato anche da una tendenza ormai consolidata: la recessione economica di Berlino e la crisi politica dell’asse Franco-Tedesco, uno dei pilastri portanti dell’Unione Europea fino ai giorni nostri. Completa il quadro esterno una frattura sempre più evidente tra Europa e USA, soprattutto sulla questione Ucraina e sulla necessità di un riarmo a livello europeo.

A livello interno, la campagna elettorale appena svoltasi ha evidenziato elementi di continuità rispetto ai passati appuntamenti elettorali, tra i quali la relativa prevedibilità dell’esito finale. Dall’altro, alcuni elementi presentano un carattere di novità: una durata della campagna elettorale piuttosto contenuta rispetto al passato, il numero insolitamente alto dei candidati alla Cancelleria, la difficoltà per un ipotetico outsider di ritagliarsi il proprio spazio d’azione e, soprattutto, la comparsa nel dibattito politico di proposte di forte discontinuità con il passato. Tra queste ultime, ricordiamo la ridiscussione delle politiche verdi, una forte spinta al contrasto all’immigrazione, sfociata nel concetto di “re-immigrazione”, fino all’apertura verso un aumento della spesa pubblica per stimolare l’economia e aumentare gli investimenti per la difesa, in totale rottura con il tradizionale approccio rigorista tedesco, inserito come principio all’interno della costituzione federale.

Analizzando il ruolo dei candidati principali, il Cancelliere uscente Olaf Scholz ha cercato di trovare un delicato equilibrio tra la consapevolezza di rivedere numerose politiche finora applicate, e, in politica estera, di porsi come l’anti-Trump, senza dover tuttavia compromettere le consolidate relazioni tedesco-americane. Dal canto suo, il candidato sfidante della CDU/CSU, Alexander Merz, prossimo Cancelliere, ha proposto una sua “Dottrina” articolata su alcuni punti: a) un europeismo a tratti poco canonico, pur di stampo conservatore, con scarsa apertura su debito comune, ma possibilista su alcune novità, come un’assicurazione europea sulla disoccupazione; b) un pragmatico atlantismo, essendo Merz molto legato ad ambienti americani, nella consapevolezza di dover ridefinire alcuni parametri alla luce della presidenza Trump; c) un approccio di Germany First più nazionalista in primis l’immigrazione, ma anche sul ruolo esercitato dalla Cina e sul tema della guerra in Ucraina.

Oltre alla difficoltà nell’armonizzare i tre pilastri sopra descritti in un approccio coerente, a complicare il quadro è stata anche l’imprevedibilità relativa alla composizione della coalizione a guida CDU/CSU. Scongiurata una riedizione della “coalizione semaforo”, composta da Cristiano-democratici, Socialdemocratici e Liberali, la CDU/CSU ha assunto una postura più votata a destra e un atteggiamento a tratti contraddittorio nei rapporti con la AfD (in forte ascesa), rincorrendola sull’adozione di politiche migratorie marcatamente restrittive, per poi smentire alcuna possibilità di intesa con il partito guidato da Alice Weidel, al fine di rassicurare il proprio elettorato. Alla luce dei risultati finali, tenuto conto del rifiuto di tutti i partiti di creare una coalizione con l’AfD, del mancato raggiungimento dalla soglia del 5% dei partiti minori e della conseguente ridistribuzione dei loro seggi, al momento lo scenario più probabile prevede una riproposizione della Große Koalition, composta da CDU/CSU e SPD, formula tipica dell’era Merkel, che disporrebbe dei seggi necessari al Bundestag. Pur più difficile da riproporsi nelle condizioni attuali, un’alleanza tra CDU/CSU ed SPD assicurerebbe maggiore stabilità di una coalizione tripartita e una convergenza su alcuni temi quali l’immigrazione, della quale anche Scholz ha riconosciuto l’urgenza. Sembra, infatti, che CDU/CSU e la SPD siano quasi “condannate” a governare assieme, data l’assenza di alternative realmente percorribili, nonostante un tale accordo creerebbe comunque divisioni interne all’interno dei rispettivi partiti e non porterebbe a quel cambiamento drastico su alcune politiche auspicato dagli elettori. Sembra estremamente improbabile, invece, una coalizione tra CDU/CSU e AfD per le ragioni sopra citate. Le consultazioni tra i partiti delle prossime settimane sapranno dirci di più a riguardo.

Dall’esito di tali alchimie partitiche dipenderanno la forma, la sostanza e soprattutto l’efficacia di azione del nuovo Governo tedesco. Tuttavia, più che fornire rapide risposte, sembra che il nuovo Governo dovrà prima affrontare molte domande su numerosi temi, alcuni dei quali considerati come dogmi in passato e per la prima volta veramente messi in discussione. Dal modello economico ed industriale, all’atlantismo fino alle politiche verdi, passando per il dilemma di aumentare la spesa pubblica per la difesa e conservare il tradizionale rigore di bilancio. In conclusione: la Germania è pronta (o è in grado) di ripensare a sé stessa, di ridiscutere le proprie storiche convinzioni e a tornare a ricoprire il ruolo di guida come nel passato?

 

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